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Bjørn Longborg in “False Alarm” demolisce il clima di terrore sul global warming

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Foto di The New York Public Library su Unsplash

Non ci sono dubbi che il cambiamento climatico avvenga per effetto dell’azione antropica. Ma è giustificato tanto allarmismo o esistono anche interessi diversi da quelli di salvare il pianeta? È questa l’interessante tesi del libro “False Alarm” di Bjørn Longborg.

In sostanza – secondo Longborg – viviamo in un’epoca dominata dalla paura per il futuro, alimentata da interessi politici e da chi può trarne profitto mediante un enfatizzazione di scenari apocalittici. Il 2030 è quindi visto come una deadline che sta a noi spostarla sempre più avanti pena la fine certa per l’umanità.

Longborg sostiene che l’unica soluzione di cui si parla oggi sia quella di trasformare radicalmente l’economia, eliminando i combustibili fossili e riducendo a zero le emissioni di carbonio a favore delle energie rinnovabili. Attivisti organizzano cortei, gli esperti sono quasi tutti concordi nel dire che le cose andranno molto male e ogni giorno si sottolinea che il tempo stringe, e nel frattempo aumenta la paura. 

Anni fa agli scienziati che studiano il cambiamento climatico è stata posta una domanda tanto specifica quanto ipotetica, ovvero come arrivare a zero emissioni in breve tempo. La risposta è stata che non è possibile arrivare a zero emissioni in breve tempo ma che per cercare di raggiungere questo obiettivo nel più breve tempo possibile è necessario operare cambiamenti sostanziali in ogni parte della nostra società entro il 2030. 

Per capire meglio questo punto Longborg fa un esempio: se chiedessero agli scienziati come azzerare il numero dei morti per incidenti stradali la soluzione più semplice e rapida da fornire sarebbe quella di ridurre la velocità a tre miglia orarie (poco più di cinque chilometri all’ora), cosa attualmente irrealizzabile così come azzerare le emissioni entro il 2030. Ci si arriverà come molte altre sfide che l’umanità ha vinto.

Se il cambiamento climatico avrà un generale impatto negativo sul mondo, quello su cui si tace è che sarà d’impatto minimo rispetto al miglioramento che si realizzerà. Attuali ricerche mostrano che se non si facesse nulla per contrastare il cambiamento climatico la crescita stipendiale nel 2100 potrebbe essere limitata al 434% – contro il 450% previsto. L’aumento del PIL permette di contrastare la povertà e migliorare la qualità della vita a milioni di persone, che potranno vivere meglio e più a lungo.

Ciò che però viene fatto attualmente è far credere alle persone che fermare il cambiamento climatico sia un’impresa titanica più di quanto lo sia in realtà. In questo modo si danneggia il benessere delle persone e si spendono miliardi in soluzioni non poco efficaci.

Alcune ricerche mostrano come ogni anno nel mondo vengano spesi più 400 miliardi di dollari per combattere il cambiamento climatico, investimenti nelle energie rinnovabili e nei sussidi. “Un esempio è proprio l’Accordo di Parigi sul clima del 2015, il patto finora più oneroso e inefficace nella storia dell’umanità.” Spiega, Longborg, aggiungendo che il modello chiamato “expanding bull’s-eye effect” (traducibile in “effetto occhio di bue in espansione”) è il principale responsabile del fatto che i costi relativi al cambiamento climatico peggiorano di anno in anno, dando l’illusione che sia la portata del fenomeno clima change a peggiorare, invece sono le condizioni di base a cambiare.

Per capirlo Longborg fa un esempio: “pensiamo al bersaglio utilizzato quando si pratica il tiro con l’arco. Nel nostro caso gli anelli mostrano la densità abitativa di un’area, comprensiva dei possedimenti materiali di chi vi abita. Al centro c’è la densità maggiore. Man mano che ci si allontana dal centro diminuisce la popolazione presente. Gli anelli però si espandono nel tempo: aumentano cioè sia la densità abitativa sia il valore dei beni posseduti dagli abitanti.

Nell’eventualità di un evento naturale avverso, come può essere un tornado o un’inondazione, questo modello permette di capire quali saranno i costi causati dal disastro naturale (…) Se un uragano avesse colpito Miami nel 1940 avrebbe distrutto circa 24mila case. Lo stesso uragano oggi distruggerebbe un milione di case, ma non solo. Queste case hanno un valore intrinseco più alto rispetto a quelle del 1940. Nel 2100 si ipotizza che uno stesso uragano distruggerebbe 3,2 milioni di case, a loro volta più costose di quelle attualmente presenti. L’uragano è lo stesso ma più passa il tempo e più i costi aumentano.

Senza minimizzare gli effetti del cambiamento climatico, prosegue Longborg, il cui impatto è comunque rilevante, basterebbe contestualizzare una situazione che altrimenti rischierebbe di costare cara, anche in termini di vite umane: “Evitare di costruire nuove abitazioni in zone considerate a rischio idrogeologico, in aree soggette a eventi naturali catastrofici o in zone in cui gli incendi possono essere frequenti è il primo passo per contenere i costi erroneamente attribuiti al cambiamento climatico.”

Un libro intrigante e controcorrente quindi, che ha creato dibattiti accesi. Va detto che Longborg è un convinto ambientalista, vegetariano e professore che insegna in prestigiose università europee e statunitensi, ottenendo la benedizione delle sue tesi anche da premi Nobel. In questa fase cupa dell’umanità si può dire che è quasi un libro incoraggiante, almeno fino al 2030.

 – GM

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