Trento
Riflessioni domenicali: San Francesco e la letizia pasquale

In mezzo alla Quaresima, incamminati verso la Pasqua, possiamo riflettere su una figura di santo che ha incarnato perfettamente lo spirito di sacrificio della prima e la gioia portata dalla certezza della Resurrezione: san Francesco d’Assisi.
Nell’ XI canto del Paradiso Dante ci dice che Francesco ha sposato “Madonna Povertà”, e tutti immaginiamo un uomo che rinuncia alle ricchezze del padre, alle glorie del mondo, per una vita all’insegna dell’amore di Dio, della semplicità, della povertà.
Ma la povertà esteriore, il rude saio francescano, è solo l’aspetto più evidente, esteriore, della povertà francescana. Per questo talora si può ridurre Francesco ad un pauperista. In realtà avrebbe faticato di più, senza dubbio, a comunicarlo, ma Francesco sarebbe stato povero, in senso evangelico, anche se fosse stato costretto a vivere in una reggia, a fare il re, il principe o il papa.
Del resto, quanti pontefici, quanti sovrani, nella storia, sono stati capaci di un distacco ascetico non solo dalle ricchezze (tentazione, per il vero, degli spiriti più rozzi), quanto dal potere?
Ecco dunque che la povertà cristiana di Francesco è anzitutto povertà dall’orgoglio. I catari, contemporanei di Francesco, vivevano anch’essi una povertà radicale; ma si consideravano “puri”, perfetti, facevano mostra della loro ascesi (in verità disprezzo per la realtà creata), presentandosi come santi.
Erano, però, uomini orgogliosi, incapaci di accettare il limite imposto dalla realtà, i limiti della carnalità e della finitudine umana. Dei, pretendevano di essere, incarcerati nel corpo e nel mondo, tesi a protestare la propria grandezza, la propria divinità, la propria santità, contro la caducità del Sole, della luna, delle stelle, del corpo… e contro l’ingiustizia e la malvagità degli altri uomini e, a detta loro, di Dio. In cosa consiste allora la povertà di Francesco?
Oserei dire nella sua letizia, fondata sulle certezza della Resurrezione, così espressa in un celebre fioretto: “Avvenne un tempo che san Francesco d’Assisi e frate Leone andando da Perugia a Santa Maria degli Angeli, il santo frate spiegasse al suo compagno di viaggio cosa fosse la perfetta letizia. Era una giornata d’inverno e faceva molto freddo e c’era pure un forte vento e… mentre frate Leone stava avanti, frate Francesco chiamandolo diceva: frate Leone, se avvenisse, a Dio piacendo, che i frati minori dovunque si rechino dessero grande esempio di santità e di laboriosità, annota e scrivi che questa non è perfetta letizia. Andando più avanti San Francesco chiamandolo per la seconda volta gli diceva: O frate Leone, anche se un frate minore dia la vista ai ciechi, faccia raddrizzare gli storpi, scacci i demoni, dia l’udito ai sordi… scrivi che non è in queste cose che sta la perfetta letizia… E così andando per diversi chilometri quando, con grande ammirazione frate Leone domandò: Padre ti prego per l’amor di Dio, dimmi dov’è la perfetta letizia. E san Francesco rispose: quando saremo arrivati a Santa Maria degli Angeli e saremo bagnati per la pioggia, infreddoliti per la neve, sporchi per il fango e affamati per il lungo viaggio busseremo alla porta del convento. E il frate portinaio chiederà: chi siete voi? E noi risponderemo: siamo due dei vostri frati. E Lui non riconoscendoci, dirà che siamo due impostori, gente che ruba l’elemosina ai poveri, non ci aprirà lasciandoci fuori al freddo della neve, alla pioggia e alla fame mentre si fa notte. Allora se noi a tanta ingiustizia e crudeltà sopporteremo con pazienza ed umiltà senza parlar male del nostro confratello, anzi penseremo che egli ci conosca… allora frate Leone scrivi che questa è perfetta letizia…”.
Cosa dice Francesco? Che chi è povero di sé, chi è povero di orgoglio, cioè chi non lega la propria “autostima”, come si dice oggi, ai fatti, alle circostanze, al successo, alla fama, al riconoscimento degli altri, è veramente lieto.
Nessuno infatti può portagli via nulla, perché ciò che gli sta a cuore non sono unicamente gli sguardi degli uomini, ma il sentirsi guardato, giudicato, amato da Dio.
Ecco perchè nel Vangelo il vero povero è colui che non ha Dio: può anche avere mille cose, ma non ha nulla, perchè esse non hanno, da sole, alcun significato, alcun futuro.
San Francesco ci dice che quanto più ci saremo spogliati di noi stessi, delle nostre presunzioni e pretese, persino, talora, di quelle giuste (ma vissute come rivendicazioni e senza capacità di perdono), tanto più saremo lieti e capaci di lode.
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