economia e finanza
Ucraina: il vero protagonista è il dollaro

Come si potrebbe capire cosa sembra accadere nelle crisi degli ultimi tre anni (pandemia, e guerra in Ucraina) nella – sembrerebbe – totale assenza di rapporti veritieri, e di oneste analisi interpretative da parte del cosiddetto mainstream dell’informazione?
Infatti, sembra ci vengono servite consistenti porzioni di falsità, narrazioni creative, e fantasia rozzamente mescolate in un racconto il cui rapporto con la realtà è assai tenue.
Di converso sembra esserci un’abbuffata quasi universale di una narrazione resa possibile dall’abdicazione della responsabilità – intellettuale e politica – da parte della classe politica (di Washington DC, e i suoi alleati) attraverso una galassia di pseudo think tank, e di un mondo accademico egocentrico. Fatte salve, ovviamente, alcune eccezioni.
La legione di sceneggiatori di questa storia di fantasia sembra stia lavorando con rinnovata energia per incorporare alcuni elementi nuovi: la decisione del presidente Joe Biden / NATO di inviare una serie poliedrica di armamenti per sostenere le vacillanti forze dell’Ucraina, e minimizzare le prove crescenti di uno smantellamento paralizzante e progressivo del suo esercito da parte delle più forti armate della Russia.
L’ottava sessione del Gruppo di contatto di Ramstein si è riunita il 20 gennaio 2023, e gli ucraini hanno esercitato forti pressioni affinché i loro alleati occidentali fornissero il supporto materiale richiesto dal generale Valerii Zaluzhnyi, comandante in capo delle forze armate ucraine.
In un’intervista rilasciata a The Economist (settimanale inglese d’informazione politico-economica), nel dicembre 2022, Zaluzhnyi trasudava fiducia: «Per “mantenere la linea [cioè la cintura difensiva Soledar-Bakhmut] e non perdere altro terreno”. So che posso battere questo nemico», ha detto «Ma ho bisogno di risorse. Ho bisogno di 300 carri armati, 600-700 IFV [veicoli da combattimento di fanteria], 500 obici. Quindi, penso che sia del tutto realistico arrivare alle linee del 23 febbraio 2022.» Data d’inizio del conflitto.
Dopo interminabili trattative, sembra che gli arriveranno circa 120/150 carri armati, scaglionati nel tempo, e ben dopo il 23 febbraio 2023. Nel frattempo Soledar è caduta nelle mani dei russi, e Bakhmut è minacciata di essere circondata. Inoltre, le forze russe sono all’offensiva a nord e a sud del fronte di Bakhmut, in alcuni casi avanzando fino a sette chilometri al giorno.
Perché tutto ciò? – Davvero gli USA (e gli inglesi, innanzi tutto, assieme alla NATO) hanno a cuore i confini e la democrazia (dimostratasi assai corrotta) dell’Ucraina? Domandiamo: gli Stati Uniti non sono quelli che spedirono il generale Colin Powell, nelle vesti di 65º Segretario di Stato, a sbandierare al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il 5 febbraio 2003 a New York, nel quale, agitando una fialetta contenente della polvere bianca (antrace), denunciò l’Iraq come produttore di armi di distruzione di massa? Un mese dopo l’Iraq fu invaso: successivamente le affermazioni di Powell risultarono completamente false, come dovette ammettere lui stesso. E ancora, perché il presidente Joe Biden (considerato che non può vincere la guerra) è così determinato a non avviare trattative di pace con la Russia?
Per “l’uomo qualunque” che sembra essere subissato da un’informazione trasformatasi in propaganda, sarebbe difficile trovare il bandolo della matassa. Tuttavia, a vagabondare per la rete qualche ragionevole imbeccata si può trovare.
Sembra che il vero protagonista sia il dollaro (US$) – Ma è necessario partire dal presidente Nixon che nel 1971 abolì il gold standard (ovvero la convertibilità dal dollaro in oro), perché le scorte d’oro degli Stati Uniti non erano sufficienti a soddisfare la richiesta di conversione del US$. In questo modo, tutti i Paesi del mondo si ritrovano in mano innumerevoli bilioni di dollari che non hanno più un valore fisso o garantito, ma che sono destinati a svalutarsi, dal momento che gli Stati Uniti stanno ancora stampando enormi quantità di moneta (non garantita dall’oro) per finanziare le loro guerre.
Il gold standard fu il risultato degli accordi di Bretton Woods (New Hampshire, USA). Un insieme di regole economiche internazionali stipulate nel luglio 1944 tra i principali Paesi industrializzati del mondo occidentale.
Il sistema funzionò abbastanza bene, fino a quando, all’inizio del 1971, gli Stati Uniti si trovarono sotto un’enorme pressione finanziaria a causa delle enormi somme che avevano preso in prestito per finanziare la loro guerra in Vietnam.
La goccia che fece traboccare il vaso fu la Francia che, non ignara di quanto stava accadendo e preoccupata per la capacità degli Stati Uniti di mantenere il valore del dollaro, insistette per scambiare tutti i suoi averi in dollari con oro, come previsto dall’accordo. Le scorte d’oro degli Stati Uniti non erano sufficienti a soddisfare la richiesta, e la FED si trovò di fronte alla possibilità concreta che tutte le nazioni chiedessero un cambio.
Da questa ed altre constatazioni Alastair Crooke CMG, (che è un ex diplomatico britannico, fondatore e direttore del Conflicts Forum di Beirut, un’organizzazione che sostiene l’impegno tra l’Islam politico e l’Occidente. In precedenza è stato una figura di spicco dell’intelligence britannica [MI6] e della diplomazia dell’Unione Europea) teorizza che il governo degli Stati Uniti è ostaggio della sua stessa egemonia finanziaria in un modo che raramente viene compreso appieno.
È l’errore di calcolo di quest’epoca. Un errore che potrebbe dare il via al crollo della supremazia del dollaro e, di conseguenza, anche della conformità globale alle richieste politiche degli Stati Uniti. Ma è molto più grave di quanto sembri, perché mette gli Stati Uniti all’angolo e innesca una pericolosa escalation dell’Ucraina nei confronti della Russia (ad esempio, per la riconquista della Crimea).
Washington non osa – anzi, non può – cedere il primato del dollaro, il cui crollo significherebbe il “declino americano”. E così il governo degli Stati Uniti è ostaggio della sua stessa egemonia finanziaria, in un modo che raramente viene compreso appieno.
È risultata sorprendente la resilienza mostrata dall’economia russa dopo che l’Occidente aveva usato tutta la forza delle sue risorse finanziarie per schiacciare la Russia. L’Occidente si è accanito sulla Russia in tutti i modi possibili, attraverso una guerra finanziaria, culturale e psicologica, e con una vera e propria guerra militare come seguito.
Eppure, la Russia è sopravvissuta relativamente bene. Se la sta cavando “bene”, forse anche meglio di quanto si aspettassero molti degli addetti ai lavori russi. Nel Novembre 2022 Mosca e Pechino trovano un nuovo accordo che si aggiunge a tutti i precedenti: il gas e le materie prime scambiate attraverso i gasdotti Power of Siberia e gasdotto Soyuz Vostok saranno pagati in rubli e yuan.
I servizi segreti “anglosassoni”, al contrario, avevano assicurato ai leader dell’UE di non preoccuparsi: sarebbe stata “una passeggiata”, Putin non sarebbe potuto sopravvivere. Il rapido collasso finanziario e politico, avevano promesso, era praticamente certo, dopo lo tsunami delle sanzioni occidentali.
Il punto è che la resilienza russa, in un solo colpo, ha mandato in frantumi le convinzioni dell’Occidente sulla sua capacità di “gestire il mondo”. Nel 2006, dopo le numerose debacle occidentali nei cambi di regime attuati tramite azioni militari, persino i neo-conservatori più incalliti avevano ammesso che un sistema finanziario usato come arma era l’unico mezzo per “mettere in sicurezza l’Impero”.
Ma questa convinzione è stata ora ribaltata, e le nazioni di tutto il mondo ne hanno preso atto. La resilienza della Russia, è dovuta al fatto che questo Paese ha una vera economia di produzione. La guerra è il test definitivo di un’economia politica. È la Grande Rivelatrice.
Ha rivelato un altro aspetto inatteso e scioccante, che ha mandato in tilt i commentatori occidentali: la Russia non ha esaurito i missili. La Russia è stata in grado di sostenere le sue forniture di armi perché ha una vera economia di produzione, con tutte le capacità per mandare avanti una guerra, mentre l’Occidente non ce l’ha più.
L’Occidente, fissato sulla sua metrica fuorviante del PIL – e con il suo pregiudizio di normalità – è scioccato dal fatto che la Russia abbia scorte di armi superiori a quelle della NATO. La Russia è stata descritta dagli analisti occidentali come una “tigre di carta”, un’etichetta che ora sembra probabile vada applicata proprio alla NATO. L’evidente debolezza del modello occidentale iper-finanziarizzato che si affanna a cercare scorte di munizioni, non è sfuggita al resto del mondo.
Nell’invitare i nostri lettori a cercare in Internet altre voci alternative, notiamo che anche il commentatore Yves Smith alias Susan Webber, ha provocatoriamente affermato: «E se la Russia vincesse in modo decisivo, ma la stampa occidentale fosse costretta a non accorgersene?» Presumibilmente, in una situazione del genere, il confronto economico tra l’Occidente e gli Stati del Nuovo Ordine Globale sarebbe destinato a degenerare in una guerra più ampia e più lunga.
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