Riflessioni fra Cronaca e Storia
Sono i giornali il nuovo megafono del potere
Stato di salute dell’informazione italiana al 58° posto, dopo il Gambia e il Suriname

«La nostra repubblica e la sua stampa progrediscono o cadono assieme. Un capace e disinteressato spirito pubblico di stampa, con intelligenza allenata a conoscere il diritto e con coraggio, può preservare quella pubblica virtù senza la quale il governo popolare è una farsa e un raggiro. Una stampa cinica, mercenaria, demagogica produrrà col tempo un popolo vile quanto lei stessa. Il potere di plasmare il futuro della Repubblica sarà nelle mani dei giornalisti delle generazioni future.»
Ai fini del nostro discorso abbiamo riportato questa convinzione dell’ungherese Joseph Pulitzer che a 17 anni (nel 1864) emigrò negli USA naturalizzandosi americano. Presto divenne giornalista e successivamente editore.
Nel 1890 ci fu una feroce competizione tra il World di Joseph Pulitzer e il New York Journal di William Randolph Hearst. Il confronto si svolse sviluppando tecniche diverse di giornalismo.
Hearst conquistava i lettori con sensazionalismo, sesso, crimine e orrori grafici. Pulitzer raggiunse un milione di copie al giorno attirando i lettori con molteplici forme di notizie, pettegolezzi, intrattenimento e pubblicità. Aprì la strada a giornali a diffusione di massa che dipendevano dalle entrate pubblicitarie, piuttosto che dai sussidi ai prezzi o l’appoggio ai partiti politici.
Di qui l’opinione di Pulitzer riguardante la difesa del diritto costituzionale di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, e che l’incorruttibilità della giustizia dipendesse dalla qualità dell’informazione.
In Italia abbiamo un’incerta conoscenza dell’argomento, poiché l’ambiente è affollato di “gran ciambellani” dell’informazione, mentre è carente il giornalismo che svolge una funzione di sorveglianza contro l’illegalità. Watchdog journalism («giornalismo cane da guardia» del potere) secondo una descrizione anglosassone, è una definizione occasionale da riscontrare.
Del resto “tengo famiglia” è la filosofia spicciola di molte persone che non hanno la “schiena diritta” come, per esempio, il giornalista australiano Julian Assange.
Costui nel 2010 ha assunto un’ampia notorietà internazionale per aver rivelato tramite WikiLeaks documenti statunitensi secretati, ricevuti dalla ex militare Chelsea Manning, riguardanti crimini di guerra.
Dall’11 aprile 2019 Assange è incarcerato nel Regno Unito nella Her Majesty’s Prison Belmarsh (che si trova a Thamesmead, a sud-est di Londra), prima con controverse accuse, e poi in relazione ad una sopraggiunta richiesta di estradizione fatta dagli Stati Uniti d’America per le accuse di cospirazione e spionaggio.
Le condizioni gravosamente severe, nonché l’eventualità di estradizione e persecuzione a vita negli USA, hanno suscitato forti proteste e appelli per il rilascio da parte dell’opinione pubblica e di svariate organizzazioni per i diritti umani, fino all’attivarsi del relatore ONU sulla tortura, il quale nel novembre 2019 ha dichiarato che Assange deve essere rilasciato e la sua estradizione deve essere negata, dichiarazione successivamente fatta propria anche dal Consiglio d’Europa.
Nello stesso novembre 2019 l’Internazionale Progressista si è attivata nella creazione del Tribunale di Belmarsh che sta processando gli Stati Uniti per i suoi crimini di guerra nel ventunesimo secolo. Una iniziativa che intende replicare le esperienze del Tribunale Russell.
Il 13 novembre 1966 – al culmine della guerra di resistenza in Vietnam – i filosofi Bertrand Russell e Jean-Paul Sartre convocarono un tribunale popolare per ritenere il governo degli Stati Uniti responsabile dei suoi crescenti crimini di guerra.
«Il tribunale non ha un chiaro precedente storico», disse Russell. Non rappresentava alcun potere statale. Non aveva la capacità di condannare l’imputato. «Credo che questi apparenti limiti siano, in effetti, virtù. Siamo liberi di condurre un’indagine solenne e storica […] presentata alla coscienza dell’umanità.»
Mezzo secolo dopo, l’Internazionale Progressista (PI) fa nuovamente appello alla coscienza dell’umanità contro i crimini dell’imperialismo statunitense.
Julian Assange è stato tenuto in isolamento permanente per aver osato pubblicare documenti che descrivono, tra il resto, in dettaglio, torture, violenze e spionaggio illegale da parte del governo degli Stati Uniti.
L’ex leader laburista britannico Jeremy Corbyn, l’informatore dei Pentagon Papers Daniel Ellsberg, il famoso linguista e dissidente Noam Chomsky e altri hanno testimoniato venerdì 20 gennaio 2023 al Belmarsh Tribunal di Washington, DC, chiedendo al presidente Biden di far cadere le accuse contro Julian Assange, che potrebbe affrontare fino a 175 anni di carcere per aver violato l’Espionage Act degli Stati Uniti avendo pubblicato documenti che hanno svelato i crimini di guerra statunitensi in Iraq e Afghanistan.
Al Tribunale di Belmarsh Ellsberg ha detto tra l’altro:«Sono Dan Ellsberg. Una delle pietre miliari del nostro governo qui negli Stati Uniti, per la democrazia e una repubblica, è il nostro Primo Emendamento della Costituzione, che proibisce qualsiasi legge del Congresso o degli Stati che limiti la libertà di parola o di stampa, insieme alla libertà di religione o di riunione, che precluda l’approvazione di una legge sui segreti ufficiali di tipo britannico, che la maggior parte dei paesi ha. Quasi nessun altro paese ha una legge che individua la protezione della stampa come nel Primo Emendamento. Nell’Official Secrets Act di tipo britannico, si criminalizza qualsiasi o tutte le informazioni protette dal ramo esecutivo del governo. Anche la divulgazione al pubblico o alla stampa o al Parlamento è criminalizzata e soggetta al carcere. Non abbiamo mai avuto un atto del genere a causa del nostro Primo Emendamento. [ https://consortiumnews.com/2023/01/22/ellsberg-losing-1st-amendment-reverses-war-of-independence/ ] In effetti, uno è stato quasi inavvertitamente approvato dal Congresso nel 2000, ma è stato posto il veto dal presidente Clinton come una chiara violazione del Primo Emendamento.»
Dopo aver ricordato la vicenda dei Pentagon Papers, da noi trattata qui in un precedente articolo, Ellsberg ha proseguito: «Abbiamo combattuto una guerra d’indipendenza e stabilito una costituzione. Quindi abbiamo un Primo Emendamento. La Gran Bretagna, dove ora si trova Julian, non ha l’equivalente. Hanno un Official Secrets Act, che noi non abbiamo».
«Se lo acquisiamo, direi che rinunciamo al risultato principale di quella guerra d’indipendenza, nel senso che non siamo più veramente una Repubblica, né una Democrazia. Avremo formalmente dei poteri monarchici, poteri imperiali, e ogni impero richiede segretezza per mascherare i suoi atti di violenza che lo mantengono come un impero. È un grande cambiamento rispetto al nostro precedente governo».
«Per contestare ciò, un anno fa ho pubblicato un documento top secret sulla crisi dello Stretto di Taiwan del 1958 – molto tempo fa – in cui gli Stati Uniti si avvicinarono all’uso di armi nucleari per sostenere la protezione di Taiwan dalla Cina continentale, una questione che si sta affrontando quest’anno».
«Per andare oltre quest’anno in relazione al tentativo di estradare Julian Assange, ho anche rivelato il fatto che ero stato oggetto di incriminazione come Julian dal 2010, perché ero in possesso delle informazioni che ho rilasciato ai giornali».
«Sono in effetti nella stessa condizione di Julian, e sono pronto ad affrontare una prova per quell’atto che vada fino alla Corte Suprema, se necessario, per ripristinare il nostro status di repubblica».
«Chiedo al presidente Biden di incriminarmi, insieme a Julian Assange e altri, o di abbandonare questo tentativo incostituzionale di estradare Julian – io non dovrei essere estradato – o di non perseguire nessuno di noi in questi tribunali. Questo è davvero l’unico modo per ripristinare il nostro status di Repubblica e di democrazia.»
A questo punto è sicuramente una nostra lacuna, ma al momento della pubblicazione di questa nota non siamo in grado di riferire alcuna analoga assunzione di responsabilità nel mondo dell’informazione del paese di Arlecchino & Pulcinella. Al contrario ci viene in mente una riflessione del giornalista Marco Travaglio: «Se in America il giornalismo è il cane da guardia del potere, in Italia è il cane da compagnia. O da riporto.»
Forse sarà anche per questo che secondo il World Press Freedom Index, redatto da Reporters sans frontières, ovvero l’indice che valuta lo stato di salute del giornalismo in 180 Paesi del mondo, l’Italia ha perso ben 17 posizioni [ https://rsf.org/en/index ] collocandosi attualmente al 58° posto, superata anche da Gambia e Suriname?
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