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Trento

Porfido in Trentino: non solo mafia e ‘ndrangeta

Oggi il settore occupa 489 dipendenti con un fatturato di 37,3 milioni di euro

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L’iniziativa promossa dal commissario straordinario Alberto Francini in collaborazione con il Servizio minerario della Provincia autonoma di Trento, struttura provinciale ispettiva competente nel settore estrattivo intende rilanciare il settore del Porfido. 

Il seminario ha segnato anche il via libera ad una stretta collaborazione tra enti dello Stato e della Provincia che – in un’ottica interforze – avranno così gli strumenti per presidiare in modo più fruttuoso il settore.

L’auspicio espresso dall’esponente della Giunta Achille Spinelli è che “questo percorso possa portare alla definizione di protocolli interforze duraturi ed efficaci nel tempo e che interessino tutti i comuni che appartengono al Distretto provinciale del porfido della Val di Cembra e alle ASUC di riferimento”.

Il porfido non significa mafia oppure ‘Ndragheta. Quella del porfido infatti fino alla fine degli anni 90 è stata l’industria più importante della Val di Cembra e la terza nel Trentino dopo il turismo e il legno. Un settore fatto anche di imprenditori caparbi e tenaci, onesti lavoratori che in passato hanno fatto ricadere sul territorio molto benessere creando centinaia di posti di lavoro anche attraverso gli appalti del semilavorato a piccole aziende artigiane e ai posatori.

È stato grazie alla sua estrazione ed al relativo indotto che nell’ultimo secolo la val di Cembra, e in parte anche il Trentino hanno conosciuto uno sviluppo ed una prosperità senza precendenti.

L'”Oro Rosso” ha cominciato il suo boom negli anni ’80 dove sono cominciate le esportazioni in Europa e poi più avanti nel resto del mondo. Da prodotto grezzo è stato trasformato in prodotto finito adatto alle pavimentazioni esterne ma anche in alcuni casi (lucidi, semi lucidi e fiammati) per interni.

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L’alta qualità del materiale trentino e i bassi canoni di concessione delle cave hanno fatto prosperare a lungo il settore e gli imprenditori coinvolti, affibbiando così al porfido il nome  appunto di “oro rosso”. Negli ultimi 20 anni l’industria è però entrata crisi: nel 2019 l’Istituto di statistica della provincia di Trento contava 65 cave e circa 500 lavoratori, numeri costantemente in calo, per una produzione di 682mila tonnellate di materiale dal valore di oltre 37 milioni di euro.

Ora il Trentino conta 61 cave attive per un totale di 489 occupati (operai e titolari che lavorano prevalentemente in cava). Se nel biennio 2020-2021 la produzione totale appare pressoché stabile (635.884 tonnellate è l’ultimo dato disponibile), gli scavi appaiono in flessione del 18,5%, per un totale di 812.787 metri cubi nel 2021, mentre il valore della produzione è lievitato del 9,4%, raggiungendo quota 37,3 milioni di euro.

Il settore del porfido negli ultimi anni ha visto molti fallimenti, anche di aziende che a suo tempo erano molto consolidate, le cui ricadute sul territorio erano molto importanti.

Nel corso del seminario si è parlato principalmente di tracciabilità dei materiali, cosiddetti grezzi, nell’ambito dei trasporti che avvengono fuori dalle cave verso gli artigiani trasformatori.

In prospettiva, non è escluso che le attività sul campo possano, con l’esperienza acquisita, progredire ed espandersi su più fronti di intervento quali la tutela del lavoro, della salute e sicurezza, dell’ambiente e che si possano implementare tecnologie innovative che semplifichino il lavoro delle figure a più livelli coinvolte.

 

 

 

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