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Trento

Elezioni provinciali, Pruner: «La destra chiamata alla partita della vita, ecco le carte che può giocare il PATT»

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Walter Pruner l’avevamo intervistato prima delle elezioni del 25 settembre e le sue parole avevano previsto quasi tutto quello che poi sarebbe successo.

È vero, prevedere il boom di Fratelli d’Italia e il crollo della Lega non era poi così difficile, ma allora Pruner parlò anche delle elezioni provinciali di ottobre sottolineando come la strada per un possibile secondo mandato di Maurizio Fugatti fosse molto stretta. Allora definii la tornata elettorale nazionale come la «più impegnativa di questo terzo millennio»

Walter Pruner allora criticò il governatore per aver sottovalutato clamorosamente la crescita di Fratelli d’Italia sottolineando che alla base di tutto ci fosse stata una forte acredine nei confronti dell’operazione che aveva portato Alessia  Ambrosi, Katia Rossato e Claudio Cia verso il partito della Meloni.

Governare una provincia con la rabbia, l’acredine e la sete di vendetta non è bella cosa, anche se non vogliamo pensare che sia davvero così. Con Pruner abbiamo approfondito gli strascichi che ha lasciato il voto del 25 settembre in Trentino e le ipotesi per le prossime provinciali con un occhio attento al PATT.

Dunque anno di elezioni, anno di forte carica politica….

«Il contesto è particolare, molto speciale. Per la prima volta un partito della destra storica si iscrive da favorito all’appuntamento elettorale provinciale. Si iscrive sull’onda di una spinta nazionale arrivata con una forza d’urto da molti imprevista per proporzioni. Una destra chiamata a gestire una inedita partita della vita: per la prima volta nella posizione di contendente di Piazza Dante. Ma non solo».

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Infatti, sembra che il Trentino si stia “omologando” in un certo senso al resto di Italia.

«Il che conferma un altro inedito: la permeabilità del tessuto politico locale, tradizionalmente avvezzo a marcare una sua originalità e che invece sembra riproporre, lo abbiamo rivisto alle consultazioni nazionali di settembre scorso ed a quelle del 2013, esiti sostanzialmente speculari: la Lega nel 2018, Fratelli d’Italia nel 2022. Anche in tema di assenteismo il trend trentino non è più purtroppo asimmetrico rispetto a quello nazionale».

Da noi però altre variabili, mi consenta….

«Certo, terra storicamente di laboratorio politico, dove si sono spesso tentate operazioni di particolare originalità ed a volte anche pilota. Si pensi nei decenni passati alla Margherita, all’ Abete, alla U.P.T., alla Rete, Nuova Sinistra, le Genziane, ma anche ad esperienze identitarie come quella di Primon del Tridente, o del compianto Casagranda con il Far, ed altre. Poi la presenza degli Autonomisti che rappresentano rispetto al quadro nazionale un forte elemento di novità».

Ma oggi, questo spirito mi pare sia piuttosto scemato. Che ne pensa?

«È cambiato il contesto, certamente, ed il senso di sfiducia si è sclerotizzato. Il Consiglio, la sede naturale del dibattito politico, nei fatti ha abdicato ad attore principale. Vuoi per il dirigismo della maggioranza, vuoi per la frammentazione della minoranza, poco importa, la politica ha nei fatti delegato ad attori esterni al Palazzo, spesso agenzie politiche legate a logiche e lobby escluse dalle sagrestie di partito. Ma quest’anno c’è dell’altro ancora».

A cosa si riferisce?

«La sovranità, ovvero il tasso di indipendenza politica delle forze politiche locali. Quello della sovranità è un passaggio molto importante, per niente residuale: occorre infatti comprendere quale sia il livello di autonomia di cui le sigle locali godono. Fratelli d’Italia ha recentemente espresso chiaramente il concetto della necessità di un allineamento con Roma. Lettura molto netta e precisa: condivisibile o meno è un punto fermo. Altre opacità invece non rendono completamente intelleggibile il quadro.

La Lega locale, con la dieta di settembre, e il suo non più capitano ma “Sergente” nazionale Matteo, tenta di tenere il punto ma ben sapendo che alla fine la scommessa sarà comunque e per forza di cose giocata sul tavolo nazionale. Le ambizioni “federative” e di autonomia del Pd locale cozzano con la tradizionale resistenza nazionale che riconduce alla fine ad un unicum con il Pd nazionale, e le ricadute sono ampiamente visibili in termini di gestione temporale e politica della coalizione intera. Il Patt, al momento, all’esercizio diretto di sovranità ha preferito la consegna di delega contemplativa ai cugini sudtirolesi».

Questo sistema elettorale, però, piaccia o meno, impone scelte di campo. Il Patt cosa dovrebbe fare?

«Non spetta certamente a me dare consigli, avendo il Patt i propri organi nel pieno delle loro funzioni. Quest’anno a 75 anni di brand, le Stelle Alpine si trovano a poter sondare, pur da ruoli ancillari, i nuovi fondali della seduzione meloniana. Può ambire in alternativa ad una scelta di continuità storica con l’esperienza dei suoi ultimi decenni in un area oggi di grande frammentazione ed ampi spazi.

Può tentare poi la carta della suggestione, quella che all’insegna di una Autonomia aperta alla società tutta si appella in favore di un cartello ampio. Infine può suicidariamente decidere di non decidere. Ogni altro calcolo con al centro proofferte di basso lignaggio elettoralistico ne decreterebbe e già nel breve, una progressiva evaporazione. Posso solo dire che il tema delle Autonomie differenziate in particolare, ma non solo, e la partita intera che in materia si sta giocando a livello nazionale, non posso neanche lontanamente immaginare che le forze autonomiste le vedano passare davanti da una posizione di vassallaggio o irrilevanza».

Mi sembra preoccupato.

«No, di più, sono molto più che preoccupato. Sono allarmato. Vede, questo tema sta agli autonomisti come la qualità dell’ acqua sta ai pesci. Nella partita dell’ Autonomia le forze autonomiste non possono permettersi solo di assistere, devono giocare la partita. Il rischio di una ibridazione ordinamentale del modello autonomistico esiste, non sempre ma a volte sì, non solo per volontà, ma per ignoranza in senso tecnico. Non si pensi che a Roma tutto sia poi così chiaro e prioritario come si crede. Poi il confronto sarà aspro o meno a seconda delle condizioni, per carità, ma come diceva un grande allenatore svedese, “l’importante non è vincere, ma giocare per vincere”, quindi mettendo in campo tutto. Questo è il senso della partecipazione».

Uno dei cavalli di battaglia della scorsa campagna elettorale fu il tema della burocrazia provinciale. Come è andata?

«Le campagne elettorali sono una cosa, governare un’altra, come ci insegna anche la cronaca politica nazionale contemporanea. Nessuno si aspettava in pochi anni una risposta definitiva. Sull’aspetto motivazionale e meritocratico invece l’attuale governo è stato più volte sollecitato dall’interno di una struttura, che ha avuto l’impressione di essere stata più sopportata che supportata. Le numerose eccellenze interne alla provincia, ora inespresse, costituiscono una indubbia risorsa, cui le inattese risposte sanzionatorie e togate loro rivolte hanno provocato e marcato una cesura con la fiducia istituzionale di cui tutti pagano alla fine il conto».

Quali le priorità di programma secondo lei?

«A partire dalla Sanità senz’altro la lista è già scritta: sono i problemi in essere ad averlo fatto. Tra i grandi assenti nell’agenda politica, invece, il nuovo ruolo dei Comuni ed una riforma in chiave di decentramento che dia protagonismo alle comunità locali, vero e rinnovato protagonismo. Ottimi Sindaci sono oggi imbullonati da sogni che stante il ruolo accentrante e antistorico della Provincia mai potranno mettere a terra sotto forma di progetti reali. Ma qui Il punto decisivo, nodale, è un altro».

E sarebbe?

«Anche le dittature più efferate hanno costruito e continuano a farlo, ponti, strade, illuminazioni, by pass, stadi nel deserto. L’idea che basti fare a prescindere da una direzione politica è una semplificazione ed un errore che stiamo pagando caro, che l’Italia tutta sta pagando. Dove sta dunque la differenza regina tra fare e governare? Ma proprio nella programmazione politica interna ad una visione di campo che si fonda su precisi sfondi valoriali. Altro che meno politica. L’esatto contrario, più politica e meno ragioneria.

Le vere moderne democrazie, e qui mi consenta, anche la democrazia “autonomista”, devono pensare di configurare gli interventi tecnici all’interno di un perimetro politico ideale di massima fatto di valori guida, di scelte tra sanità pubblica o privata, di modelli di sviluppo culturale, universitari, turistico, ambientale, di istruzione, di politiche euroregionali, di qualità dell’ istruzione, di valorizzazione delle eccellenze culturali, di centralità dei più deboli, di meritocrazia ad ogni livello culturale imprenditoriale, sociale, con una idea di obiettivi, di contesto, di visione e di prospettiva e futuro su cui pragmaticamente confrontarsi: fondamentale è la presenza di una idea lunga e non solo di prossimità, per andare a marcare poi le priorità.

Su questo terreno la gente sono sicuro che “quel giorno” sarà motivata a preferire la cabina elettorale alla spiaggia. Se l’alternativa sarà invece il bagattellismo di bassa cucina politica, con l’equilibrismo tra deroghe ed indennità di mandato, scalate interne o dozzinali riparti di cencelliana memoria, calcoli di chi “+0,1% o “+0,2%”, beh, allora il rischio di disaffezione o di raccogliere soltanto miserie potrebbe trasformarsi in triste realtà».

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