Arte e Cultura
E’ morto Dominique Lapierre, giornalista a caccia di eroi

E’ morto ieri 4 dicembre, a 91, Dominique Lapierre, celeberrimo giornalista francese autore di bellissimi best sellers, tra cui La città della gioia. Nato nel 1931, Lapierre inizia a scrivere e a viaggiare giovanissimo, a 14 anni.
A 21 anni si sposa a New York, poi per guadagnare qualche soldo nel 1952 si reca in Corea, sconvolta dalla guerra; nel 1956 attraversa l’Urss come reporter di punta di Paris Match: nessuna automobile occidentale ha mai oltrepassato la Cortina di ferro. La “benzina sovietica -scrive- è così scadente che dobbiamo pulire il carburatore ogni 20 chilometri”. Nel 1959 il suo giornale lo sguinzaglia all’inseguimento del famigerato mafioso Lucky Luciano…
Il suo libro, Parigi brucia, è il primo di una serie best seller che gli procurano fama e soldi… Incontra Charles de Gaulle, arriva in India, in Rolls Royce, per intervistare uno degli assassini del Mahtma Gandhi e Indira Gandhi… Nasce così un altro best seller: Stanotte la libertà. Ma l’incontro più significativo per la sua vita è varcata la soglia dei 50 anni, nel 1981, sempre in India, a Calcutta, con madre Teresa. Lei sta dando da mangiare ad un malato e passa il piatto a Lapierre: “Continua tua nutrire quest’uomo”. “Un faccia a faccia con la miseria che non ho più dimenticato”. Lapierre passa così dall’occuparsi di grandi uomini, a toccare con mano la vita dei derelitti.
Capisce che non può più solo raccontare, deve agire, deve aiutare gli amici di madre Teresa, come James Stevens, ex commerciante di camice che ha lasciato la sua terra, la sua villa per costruire la casa della Resurrezione per bambini lebbrosi… come fratel Gaston Dayanand, un missionario laico, infermiere, che vive da 40 anni con i poveri, come tutti quei missionari che in India lottano per curare lebbrosi, bambini ed adulti colpiti da handicap fisici e mentali, e che per la mentalità indù non hanno diritto a cure, perché scontano, nella vita presente, le colpe di quella precedente.
In questa bidonville “ho imparato a ringraziare Dio per il minimo dono, ad ascoltare gli altri, a non avere paura della morte, a non disperare mai… La mia vita cambiò, la mia visione del mondo e la gerarchia dei valori si trasformarono”.
Nasce così la Città della gioia, best seller mondiale (milioni di copie vendute), ambientato in una bidonville indiana preda della povertà, in cui la vita degli indù – in particolare di un uomo risciò (detto uomo-cavallo) e della sua famiglia- si mescola con quella di un medico occidentale e di un sacerdote cattolico francese.
Nel 1985 con i primi proventi dei diritti d’autore de La città della gioia, tradotto in 30 lingue, Lapierre apre una scuola per bambini poveri in India; con il tempo, grazie alle donazioni di migliaia di persone, che gli mandano offerte, anelli e collane d’oro… fa scavare centinaia di pozzi di acqua potabile, vara battelli ambulatorio nel delta del Gange, apre cliniche ginecologiche e scuole… soprattutto, con la sua penna, procura agli eroi che ha incontrato soldi e contatti per decuplicare il raggio della loro azione, e per dare coraggio a nuovi eroi.
Nel suo ultimo libro Lapierre scriveva: “Un omaggio all’Italia, alla sua generosità, alla sua sensibilità di fronte alle sofferenze del mondo, alla sua solidarietà con i più sfortunati. Nel corso dei miei innumerevoli viaggi ho incontrato più medici, infermieri, operatori sociali ed educatori di nazionalità italiana che di ogni altra regione”.
Qui sotto un video su di lui e sull’altro giornalista francese che ha tanto contribuito alla lotta alla lebbra, Raoul Follereau:
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