Ambiente Abitare
La mia Vaia: ricordo di giorni impossibili da dimenticare

Me la ricordo come fosse ieri quella calma inquietante che precedette la tempesta.
Ero seduto ad un tavolo esterno di un albergo sopra Belluno qualche giorno, forse qualche decina di ore, prima dell’Inferno.
Per lavoro avevo viaggiato un paio di giorni in zona, tra Feltre e Pordenone, constatandone il verde che stentava a diventare autunnale. Tanto verde in luoghi poco antropizzati. Un Paradiso, se non fossero terre dure per gente dura.
La mia ultima sosta era Belluno, dove avevo preso alloggio in un meublé molto ospitale che guardava sulla vallata. Avevo cenato bene e in un ambiente accogliente, luci soffuse e jazz in sottofondo. Attorno, professionisti e qualche coppia più o meno clandestina. La serata perfetta per loro, rilassante per me.
Poi mi ero accomodato ai tavolini esterni a bere un caffè al cioccolato e fumare un sigaro offerto dalla casa. Il direttore era del posto, viaggiava verso i settanta molto simpatico ed era in albergo da sempre, forse ci era persino nato.
Mi raggiunse al tavolo esterno e si sedette a fare un po’ di conversazione, saranno state le 23, eravamo in maniche di camicia con novembre alle porte. Profano di calcio ed essendo entrambi in età della ragione per parlare di donne e politica conversammo sul tempo.
Su questo argomento lo vidi ansioso, con occhi intimoriti. Mi fece notare l’aria grassa e pesante, quasi oleosa, immobile, che nel crepuscolo aveva assunto una tonalità grigio/giallastra e il caldo era da sera ferragostana al mare.
Disse che mai in vita sua aveva visto un clima simile a ridosso di novembre, e questo lo spaventava molto. La conversazione su: “non ci sono più le mezze stagioni” toccò gli stessi temi di sempre, portati come scoperte dell’acqua calda ad ogni incontro internazionale sul clima, come l’attuale Cop27.
Pochi giorni dopo arrivò Vaia, e fu la fine della verginità per quanto riguarda l’immunità dagli uragani nel nostro paese. Ciascuno di noi ha dovuto fare i conti con questa piaga biblica, il nostro sguardo sul paesaggio è ancora sconvolto dalla devastazione: milioni di alberi uccisi come da una bomba atomica, i brividi tutt’ora presenti quando si osserva una montagna brulla che una volta era una foresta, magari una volta percorsa dagli antichi romani. O le pareti di case inviolate persino dalle bombe degli alleati attraversate come carta assorbente dalla pioggia trasversale.
L’altro giorno ero in maglietta a maniche corte ad abbronzarmi al sole del Garda osservando come naturale la gente che faceva il bagno. Lo stesso Garda attraversato negli ultimi tempi da tempeste talmente furiose che solo la tenuta delle cime ha impedito di trovare barche a vela di dieci metri strisciare sulla statale o tra le vie cittadine.
Così, provando la stessa sensazione di Belluno, ho pensato che un sano timore per la Natura violata e quindi vendicativa può salvare tante vite, se le si chiede scusa con un ravvedimento operoso.
Resta solo da convincere qualche miliardo di cinesi e indiani…
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