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Generazione Z: i ragazzi che insegnano a dire di “no”

Tutte le problematiche tra giovani e lavoro stanno lasciando un segno non indifferente.
Anzi, questa Generazione Z – i ragazzi nati dal 1997 al 2010/12 stanno insegnando qualcosa alle generazioni più “vecchie”: stanno insegnando loro a dire di “no”, a rifiutare quando qualcosa non va bene.
Perché ammettiamolo, i Millenials sono la generazione “cuscinetto”, quella che ha sofferto e che continua a soffrire delle azioni delle precedenti generazioni senza riuscire mai a cambiare davvero le cose, senza riuscire davvero ad imporsi.
Detta così, sembra quasi che a quei ragazzi nati a cavallo tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 manchi un po’ di spina dorsale. Ma non c’è niente di più falso: ci vuole tanta forza per resistere davanti a situazioni che cercano in tutti modi di piegare le energie e la voglia di fare.
La Generazione Z, testimone della nascita e dello sviluppo dei social e dei lavori online, ancora più dei Millenials ha imparato un linguaggio tutto nuovo, andando a creare delle opportunità di lavoro non indifferenti.
Ed è questa loro autonomia che ha portato alla spaccatura con le aziende e con gli enti gestiti da Baby Boomers e Generation X. (QUI LINK schema generazioni)
Perché, mentre i Millenials si sono ritrovati a dover accettare situazioni scomode, orari impossibili e stipendi ridicoli senza poter mai ribattere più di tanto, la Generazione Z – seppur inizialmente seguendo le orme della generazione precedente – è riuscita a imporsi e a mettere in discussione tutti, mostrando online tutto quello che c’è alle spalle di una società “finta” o comunque troppo costruita sulle apparenze per essere davvero reale.
Certo, non sono mancati anche a loro i passi falsi e le difficoltà, però sono loro i primi ad aver iniziato a mettersi e mettere tutto in discussione, subito poi seguiti da tutti gli altri.
Ed ecco quindi una generazione fresca e allo stesso tempo un po’ vissuta, che ha insegnato agli altri che “no“, non va bene accontentarsi, neanche un po’.
Perché di vita ce n’è solo una, di pianeta ce n’è solo uno e il lavoro non deve impedire la crescita personale di ognuno. Il lavoro deve essere un diritto, un’occasione di mettersi in gioco pur portando a casa il pane. E no, non si può accettare uno stipendio misero per avere le ali tarpate e una vita di insoddisfazioni.
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