Telescopio Universitario
Covid-19, ecco gli ostacoli più ricorrenti nella comunicazione

La scarsa alfabetizzazione sanitaria della popolazione è tra i fattori che più possono compromettere l’efficacia della comunicazione delle autorità sanitarie sui benefici delle campagne di vaccinazione contro Covid-19.
Il dato emerge da una ricerca internazionale, svolta da Technische Universität München (Tum), Università di Trento e London School of Economics and Political Science. I risultati sono stati pubblicati in questi giorni sulla rivista Science Advances.
Lo studio è stato condotto in otto paesi europei: Bulgaria, Francia, Germania, Italia, Polonia, Spagna, Svezia e Regno Unito. L’Università di Trento con Giuseppe A. Veltri del Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale è l’unica istituzione italiana coinvolta nello studio.
Il metodo – L’indagine online si è svolta nel mese di giugno 2021 (in aprile in Germania), durante una fase intensa delle campagne di vaccinazione. A 10 mila persone adulte non vaccinate sono state fornite informazioni generali sui vaccini disponibili. In una fase successiva sono stati inviati loro dei messaggi. Il messaggio 1 metteva in risalto l’efficacia dei vaccini disponibili nel ridurre il rischio di malattia grave e di morte da Covid-19. Il messaggio 2 sottolineava i vantaggi di possedere un certificato di vaccinazione, specialmente per viaggiare. Il messaggio 3 illustrava la prospettiva di svolgere attività senza restrizioni nel tempo libero, come andare al ristorante o al cinema, in palestra e ai concerti. Alle persone partecipanti si chiedeva quindi se intendessero vaccinarsi contro il Covid-19 nella settimana successiva.
Un fattore decisivo: l’alfabetizzazione sanitaria – Con metodi di data mining, il team di ricerca è riuscito ad analizzare diverse associazioni tra l’efficacia del messaggio, le caratteristiche socio-demografiche dei partecipanti e i seguenti fattori: la fiducia dei cittadini nel proprio governo, l’alfabetizzazione sanitaria (le conoscenze in materia di salute) e la parte di popolazione che crede in certe teorie del complotto.
Per tutti i messaggi, la probabilità di ottenere l’effetto desiderato si è rivelata minore in un paese quando l’alfabetizzazione sanitaria della popolazione era bassa. «Questo risultato ci ha sorpresi» dice Matteo Galizzi, professore di scienza comportamentale alla London School of Economics and Political Science. «Avevamo supposto che informazioni comprensibili e ben chiare su Covid-19 avrebbero portato a una maggiore comprensione della malattia tra le persone con scarse conoscenze pregresse e quindi a una maggiore propensione a vaccinarsi». D’altra parte, lo studio ha confermato le ipotesi già avanzate in passato per cui la fiducia della cittadinanza nel proprio governo avrebbe un effetto positivo.
Le persone anziane sono meno ricettive – In presenza di una prevalenza relativamente elevata di teorie del complotto, né il messaggio sui benefici per la salute né quello sulla prospettiva di svolgere attività di tempo libero senza restrizioni hanno riscontrato successi apprezzabili. «L’analisi mostra che questa forte disinformazione può anche spiegare l’impatto negativo dell’informazione in materia di salute in Spagna e in Italia» spiega Giuseppe A. Veltri, professore di scienza sociale computazionale e sociologia cognitiva al Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale dell’Università di Trento.
I ricercatori hanno notato delle differenze tra i gruppi socio-economici. Per esempio, gli uomini con un basso livello di istruzione sono stati convinti più spesso dai due messaggi che sottolineavano i vantaggi per la vita di tutti i giorni e il tempo libero rispetto agli uomini del gruppo di controllo con lo stesso profilo. Tra questi uomini si è osservato anche un effetto molto evidente nei paesi con un livello elevato di fiducia nel governo e una bassa prevalenza di teorie del complotto. La tendenza nelle persone più anziane indica una minore ricettività generale rispetto a tutti i messaggi.
Necessità di differenziare le campagne – «Durante la pandemia, le persone hanno spesso osservato gli altri paesi per vedere cosa funzionasse meglio o non altrettanto bene. Il nostro studio ha mostrato che questi confronti hanno un’utilità limitata», afferma Tim Büthe, professore della Cattedra di Relazioni internazionali alla Tum. «Un approccio più promettente consiste nell’esaminare le condizioni presenti in ciascun paese per poi adattarvi di conseguenza i provvedimenti politici e le comunicazioni. I responsabili politici ora possono seguire queste indicazioni per le prossime campagne di richiamo dei vaccini».
Janina Steinert, professoressa di salute globale alla Tum e responsabile dello studio, aggiunge: «I messaggi che incoraggiano le persone a vaccinarsi dovrebbero essere mirati con maggior precisione ai diversi gruppi, sia in termini di contenuti sia di strategia comunicativa, per esempio utilizzando certi social media o una comunicazione specifica per genere o gruppo di età. Dove si rileva una scarsa fiducia nei governi da parte della cittadinanza, personalità considerate come modelli di comportamento da certi gruppi socio-economici possono essere scelte per svolgere attività di comunicazione».
Tuttavia, se una campagna di comunicazione ha scarse possibilità di successo per via di diversi ostacoli noti, il team di ricerca suggerisce di spostare l’attenzione su altre misure. Queste possono comprendere incentivi reali o appuntamenti nominativi per la vaccinazione, che possono essere annullati solo con un intervento attivo da parte degli interessati. «Nel lungo periodo, tutti i paesi dovrebbero cercare di sviluppare l’alfabetizzazione sanitaria dei propri cittadini per incrementare l’efficacia delle prossime campagne di vaccinazione», conclude Steinert.
Per approfondire – L’articolo “Covid-19 Vaccine Hesitancy in Eight European Countries: Prevalence, Determinants and 5 Heterogeneity” è stato pubblicato il 27 aprile 2022 sulla rivista Science Advances ed è disponibile in Open Access su https://www.science.org/doi/10.1126/sciadv.abm9825
Lo studio fa parte del progetto “Periscope – Pan-European Response to the ImpactS of Covid-19 and future Pandemics and Epidemics”, che ha ricevuto finanziamenti UE per 10 milioni di euro. 32 istituzioni partner di 15 paesi europei sono impegnate nello studio dell’impatto sociale, politico ed economico della pandemia.
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