Trento
In Trentino arriva la prima condanna per mafia: per Saverio Arfuso oltre 10 anni di carcere
L’indagine era partita nel 2017 e ha confermato la presenza della dell’ndragheta in Val di Cembra tra gli anni ’80 e ’90. Condannati anche Paviglianiti e Arafat

Ieri mattina presso il tribunale di Trento sono state emesse le prime sentenze a seguito dell’inchiesta “Perfido”, riguardante le infiltrazioni della ‘ndrangheta nel settore del porfido in val di Cembra. Di fronte al gup Enrico Borrelli sono finiti i quattro imputati che hanno scelto il rito alternativo.
La condanna più pesante, che ha riconosciuto l’associazione mafiosa oltre al reato di riduzione in schiavitù, è toccata a Saverio Arfuso, 49 anni, calabrese di Cardeto: 10 anni e 10 mesi di reclusione (compreso lo sconto di pena prevista dal rito abbreviato), così come richiesto dall’accusa rappresentata in aula dai pm Davide Ognibene, Maria Colpani e Licia Scagliarini.
Arfuso è stato condannato anche a pagare le spese processuali e di mantenimento in carcere e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e interdizione legale durante l’espiazione della pena.
È stato inoltre condannato a risarcire ciascuna delle parti civili con 50 mila euro. Inn particolare i tre operai cinesi ridotti in schiavitù.
Arfuso, secondo l’accusa, aveva un ruolo apicale negli interessi della ‘ndrangheta nei comuni di Albiano e Lona-Lases. Assolto da ogni accusa e per non aver commesso il fatto, invece, Fabrizio De Santis – difeso dall’avvocato Valer – il carabiniere di 48 anni di Roma che secondo i pm aveva ricoperto il ruolo di “braccio operativo” dell’organizzazione criminale. L’accusa aveva chiesto 6 anni e 8 mesi di reclusione. Di fronte al giudice, sono cadute tutte le contestazioni.
Hanno invece patteggiato la pena di 2 anni Mustafà Arafat, macedone, 45 anni (ora in carcere per il pestaggio di un operaio cinese), e Giuseppe Paviglianiti, 61 anni, incensurato, originario di Montebello Ionico ma residente a Trento di 1 anno a sei mesi di reclusione.
A quest’ultimo la condanna è stata commutata con la sospensione della pena.
Per entrambi è caduta l’accusa più pesante, quella di associazione mafiosa. Ad entrambi è stato contesto di aver fornito appoggio ai membri dell’organizzazione criminale, ma di non far parte della stessa. Ad Arafat sono stati dissequestrati due veicoli e e macchinari preventivamente sequestrati durante l’indagine.
L’operazione dei carabinieri Ros e dei comandi di Trento, Roma e Reggio Calabria nel 2020 aveva dato esecuzione a 19 misure cautelari nei confronti di soggetti indagati per associazione mafiosa in quanto appartenenti alla ‘ndrangheta. L’indagine era partita nel 2017.
Tra i reati contestati lo scambio elettorale politico-mafioso, porto e detenzione illegale di armi da fuoco e riduzione o mantenimento in schiavitù. Oltre alle 19 misure il Ros insieme alla Polizia di Stato di Reggio, aveva eseguito un fermo di indiziato di delitto, emesso dalla locale Procura Distrettuale, a carico di altri 5 soggetti indagati anche loro per associazione mafiosa e di altri gravi delitti, sui quali sono state registrate, in fase di indagine, convergenze investigative che hanno quindi portato al coordinamento investigativo, sotto l’egida della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, tra le Procure della Repubblica di Reggio Calabria e Trento.
Il risultato aveva costituito l’esito di un’articolata attività investigativa condotta dal Raggruppamento Operativo Speciale dell’Arma dei Carabinieri che ha accertato esistenza e operatività di una Locale di ‘ndrangheta in Lona Lases ma avente influenza sull’intera provincia di Trento, quale proiezione della omonima struttura operante in Cardeto (RC), in particolare delle cosche reggine “Serraino”, “Iamonte” e “Paviglianiti”.
Per quanto concerne il Trentino, la complessiva attività investigativa ha permesso di ricostruire come il processo di insediamento della ‘ndrangheta nella Val di Cembra sia collocabile tra gli anni ’80 e ’90, verosimilmente poiché attratta dalla ricca industria legata all’estrazione del porfido.
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