Arte e Cultura
«Crossroads» di Jonathan Franzen: l’imperfetta banalità della vita

Che tutte le famiglie felici si assomiglino fra loro ma che ogni famiglia infelice sia infelice a modo suo, ce lo aveva già detto Tolstoj. Jonathan Franzen nei suoi romanzi americani ce ne dà un’ulteriore conferma.
Ci troviamo a New Prospect, in Illinois, nei primi anni ´70. Poco sesso, tante droghe e tantissima, a tratti asfissiante, religione. “Crossroads”, infatti, è il nome del gruppo giovani della parrocchia, una via di mezzo tra una comune hippie e una setta religiosa.
Sarà che ho letto “Pastorale Americana” poche settimane fa, ma ho rivisto molto dell’America di Roth in Franzen. Entrambi gli scrittori riescono a farci entrare sia nella mente dei loro personaggi, quasi fossimo dei bisturi, che nel loro ambiente.
Le descrizioni delle strade di New Prospect e dei suoi negozi, degli abitanti con le loro manie e segreti, ci attirano fin da subito. Come la neve che nella prima parte del romanzo cade senza posa, il senso di colpa ricopre completamente i membri della famiglia Hildebrandt, tutti tranne uno: il figlio minore, unico punto di vista che non seguiremo, cristallizzato nella sua infanzia e innocenza, privo anche del peccato originale.
L’imperfetta banalità della vita di un crocevia morale con l’obbligo di essere tanto buoni da essere considerati all’altezza, ma ossessionati dalla loro naturale cattiveria, e feriti dalla vergogna delle proprie azioni.
Franzen ci presenta per primo il padre, il reverendo Russ Hildebrandt: un uomo amareggiato, offeso nel suo orgoglio, frustrato nella vita e sessualmente, mentre allontana con sdegno e ribrezzo la moglie è ossessionato dalle altre donne.
Vive costantemente nella nostalgia e rimpianto per la giovinezza, a suo parere non conformista, trascorsa in Arizona con gli indiani navajo. Lì Russ si sente libero dagli obblighi e convenzioni sociali e sessuali, dalla vergogna per essere stato cacciato dal gruppo “Crossroads”.
Solo sotto il cielo implacabile della Mesa il reverendo Hildebrandt può essere sé stesso, privo di quel senso di colpa che lo tormenta ma che allo stesso tempo lo fa sentire vicino a Dio.
“Il senso di rettitudine che avvertiva in fondo alle giornate peggiori, la sensazione di ritorno del figliol prodigo che ricavava dalle umiliazioni, erano il suo modo di sapere che Dio esisteva”.
Il romanzo continua facendoci conoscere Perry, il terzo figlio, molto intelligente e profondo, ma che si sente dannato; non riuscendo a sfuggire a quella che sente come un’innata crudeltà, si rifugia nel nell’oblio delle sostanze stupefacenti, in un crescendo distruttivo.
Betty, la seconda figlia è la reginetta della scuola, bellissima e ammirata da tutti, riesce a ottenere sempre quello che vuole: popolarità e amore.
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