Riflessioni fra Cronaca e Storia
Dostoevskij profeta del Novecento

Ricorre quest’anno il bicentenario della nascita del più grande romanziere dell’Ottocento, il russo Fëdor Michajlovič Dostoevskij. Per celebrare questo anniversario, l’editore Armando ha mandato in ristampa un libro del magistrato Francesco Forlenza, Dostoevskij profeta del Novecento.
Si tratta di un saggio davvero utile per capire la profondità di pensiero e la lungimiranza di questo scrittore che sin da giovane frequenta ambienti sovversivi, atei, propugnatori di una rivoluzione anarco-socialista in Russia, per abbattere lo zar e creare una nuova società.
Nel 1849 viene arrestato dalla polizia zarista e condannato a morte. In extremis la pena viene commutata in quattro anni di deportazione in Siberia. L’unica lettura, in questo lungo periodo, è quella di un Vangelo, regalatogli da una donna mentre viene portato a scontare la pena.
In seguito a questa esperienza Dostoevskij muta prospettiva, mettendo Cristo, l’uomo-Dio, al centro della sua esistenza, dei suoi dubbi, delle sue riflessioni.
In estrema sintesi si può dire che egli si dichiara convinto che quando gli uomini “abbatteranno i templi, inonderanno la terra di sangue”, perché la libertà illimitata finisce nel despotismo illimitato. Così effettivamente avverrà nel Novecento, soprattutto nella sua terra, con l’avvento nel 1917 del comunismo.
Dostoevskij ritiene inoltre che accantonando la “necessità e l’inevitabilità di credere all’immortalità dell’anima umana” l’umanità arrivi inevitabilmente alla “convinzione dell’assoluta insensatezza dell’esistenza umana sulla terra”; insensatezza che non può che esitare nell’indifferentismo morale – perché non ci può essere tensione morale, necessità di scegliere tra bene e male, dove non vi è senso delle azioni che si compiono- ma anche nella celebrazione del suicidio come estremo gesto dell’uomo che, senza Dio, si fa padrone della sua vita ma finisce poi per desiderare la sua morte.
Chi abbia letto alcuni dei capolavori dello scrittore russo, in particolare Delitto e castigo e I fratelli Karamazov, non si stupirà dell’interesse di un magistrato, il già citato Francesco Forlenza, per questo grande scrittore, che mette al centro il problema del bene e del male e dell’origine ultima della legge morale, il limite dell’uomo e la sua coscienza.
Si può anche ricordare, per allargare l’orizzonte, che lo scrittore russo è fondamentale per comprendere meglio Gabriele D’Annunzio, o il superomismo Friedrich Wilhelm Nietzsche, ma anche che è stato l’autore preferito dei due massimi fisici del Novecento, Albert Einstein e Werner Heisenberg
Il primo, in una lettera del 1919 ad un collega fisico, scriveva che I Fratelli Karamazov sono il libro “più meraviglioso che abbia mai avuto tra le mani”; in un’altra lettera, del 1921, a un amico filosofo, Einstein confessava di provare “soddisfazione etica” nella lettura di Dostoevskij e di riceverne molto di più di quanto possa fare da qualsiasi scienziato; infine, in un dialogo del 1930 con un matematico e uno scrittore, affermava che Dostoevskij è un “grande scrittore religioso” capace di presentare un quadro “del mistero dell’esistenza spirituale… chiaramente e senza commento”
Quanto a Werner Heisenberg, ricevendo nel secondo dopoguerra il premio don Romano Guardini da parte dell’ Accademia Cattolica di Baviera, riflettendo sul rapporto tra scienza, etica e fede, anche in rapporto alle armi di distruzione di massa e ragionando sull’importanza di subordinare scoperte scientifiche e utilizzi tecnologici a principi morali, ricordava di essere rimasto affascinato dall’analisi di Dostoevskij proposta dal Guardini nei suoi libri.
Affermava Heisenberg: “La vita di questi personaggi (di Dostoevskij, ndr) è pervasa completamente, in ogni istante, dalla lotta per la verità religiosa, è in certa misura permeata dallo spirito cristiano, e così ha importanza relativa se questi uomini, nella lotta per il bene, vincono o restano sconfitti. Anche i peggiori di loro sanno cos’è bene e cos’è male, misurano il proprio agire sulle immagini guida fornite loro dalla fede cristiana. Qui risulta inefficace anche la famosa obiezione contro la religione cristiana, secondo cui gli uomini si comporterebbero all’interno del mondo cristiano in modo ugualmente spaventoso che fuori di esso. Questo è vero, purtroppo; ma è anche vero che gli uomini conservano, all’interno di esso, una chiara capacità di distinguere tra bene e male; e solo dove essa è presente sopravvive la speranza di miglioramento. Dove non ci sono più immagini guida a indicare il cammino, insieme alla scala di valori scompare anche il senso del nostro agire e soffrire, e alla fine restano solo negazione e disperazione. La religione è dunque la base dell’etica, e l’etica è il presupposto della vita. Perché infatti dobbiamo quotidianamente prendere decisioni, dobbiamo conoscere o quantomeno intuire i valori secondo i quali orientiamo il nostro operato…”.
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