Trento
Claudio Cia (FdI): «La censura di Facebook mette a nudo i limiti del Ddl Zan»

Ad aprire il corteo Lgbt a Roma è stato un personaggio travestito da Cristo con tanto di bandiera arcobaleno, tacchi a spillo ed una croce “decorata” da simboli e scritte che hanno profondamente indignato moltissime persone nella loro sensibilità di cristiani.
Fra questi anche il consigliere provinciale Claudio Cia che piuttosto indignato ha espresso il suo parere su quanto successo tramite un post su Facebook: “Ieri ai cortei arcobaleno del popolo Lgbt a sostegno del Ddl Zan è andata in scena la blasfemia. Io non divido il mondo in eterosessuali, gay, lesbiche, transgender, ma fra chi rispetta gli altri e chi no. Se non si rispettano le cose sacre, ogni condotta diventa lecita.”
Bene, questo post è stato rimosso dal social network perché “incita all’odio”. Esigere rispetto per una religione millenaria sarebbe dunque incitamento all’odio e non legittima espressione di pensiero? – si chiede in una nota il consigliere.
«Ed invece, i cori “Vaticano vaff…” cantati orgogliosamente al corteo sarebbero una particolare forma poetica da preservare? Se questo è lo spirito del nostro tempo (si badi bene, non della popolazione, ma di una certa élite politicizzata e di alcuni media), allora viene da chiedersi se non esista già il pensiero unico sui temi Lgbt, per cui offese blasfeme sono tollerate e critiche legittime ai modi ed ai contenuti di una manifestazione divengono incitamento all’odio».
Secondo Claudio Cia questo è il grande limite del Ddl Zan: «al giudice è concessa una totale discrezionalità nello stabilire cosa sia legittimo e cosa sia discriminatorio. Ciò potrebbe aprire la strada a un pensiero unico portato avanti a colpi di sentenze verso chi proverà persino solamente ad aprire un dibattito civile e democratico su temi come l’ideologia gender nelle scuole (si vedano le pseudoscientifiche linee guida per la varianza di genere emanate dall’Ufficio scolastico del Lazio) o l’utero in affitto».
Cia inoltre trova «estremamente preoccupanti gli sviluppi dei moderni social network dove di fatto avviene il dibattito pubblico contemporaneo; non è pensabile che il ruolo di censore sia affidato a una società privata finalizzata al profitto (Facebook, Twitter…) e quindi soggetta all’influenza diretta di facoltosi gruppi di pressione. Il risultato è sotto i nostri occhi.
Serve un controllo imparziale da parte di un soggetto terzo. Ciò che mi preoccupa maggiormente è però la capacità di questi giganti del web nel modellare il dibattito pubblico in modo tale da escludere totalmente certi argomenti che potrebbe risultare in un forte condizionamento dei nostri giudici nel valutare cosa sia legittimo o discriminatorio. Il confine, a quanto pare, è piuttosto labile per chi non asseconda ciecamente i sostenitori del Ddl Zan».
Convinto della legittimità del suo intervento su Facebook il consigliere di Fratelli d’Italia ha nuovamente pubblicato lo stesso post con una riflessione.
Vedremo se la scure della “giustizia made in Menlo Park” calerà ancora sul suo profilo social.
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