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Musica

Addio a Chick Corea, il leggendario jazzista vincitore di 23 grammy

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Se n’è andato a causa di una malattia rara. Armando “Chick” Corea nasce nel 1941 nel Massachussetts dove comincia gli studi musicali a sei anni incoraggiato dal padre, trombettista emigrato da Napoli, che gli offre l’occasione di suonare per la prima volta davanti al pubblico.

Ma il suo primo vero contatto con la musica afroamericana avviene a Boston, dove entra a far parte di un quintetto specializzato in ritmi latini. Proprio in quell’ambiente conosce uno straordinario suonatore di “conga”, che gli fa amare quel genere di musica.

A Boston Chick Corea studia alcuni anni con un maestro italiano che lo introduce nel repertorio pianistico classico, per poi proseguire da solo. Riesce persino a superare l’esame di ammissione alla classe superiore di piano alla Juilliard School, senza poi frequentarla.

Con Willie Bobo, percussionista e cantante, personaggio all’epoca molto popolare Chick Corea partecipa alla sua prima seduta d’incisione per la Prestige. Tuttavia è a fianco del trombettista Blue Mitchell che verso la metà degli anni ‘60 comincia a farsi notare dal pubblico, realizzando poi diversi album.

Alla fine del ‘66 arriva la prima vera occasione per il giovane Chick, quando gli viene chiesto di sostituire Gary Burton nel quartetto di Stan Getz, insieme producono “Sweet Rain” dove improvvisa assoli carichi di poesia. Nel ‘68 il pianista compone diversi brani con una ricchezza di inventiva aperta alle più importanti esperienze pianistiche del jazz moderno, tra cui uno dei suoi capolavori “Now He Sings, Now He Sobs”.

Entra a far parte del gruppo di Miles Davis, che lascerà una traccia nella sua musica futura. Per la prima volta Corea usa il Fender Rhodes, uno strumento elettrico che porterà anche degenerazioni jazz-rockistiche dello stesso Davis e discepoli.

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E’ questo genere di musica che farà conoscere al pubblico italiano in due memorabili concerti nel ‘69 a Milano e nel ‘71 a Bergamo. Nel frattempo le cose cambiano, lascia il gruppo di Davis e la svolta stilistica con il nuovo gruppo “Circle” è decisiva con il ritorno allo strumento acustico, tuttavia lo si ascolta ancora accanto al divino trombettista in “At the fillmore” e “Live-Evil”.

Il pianista è in una ennesima fase di transizione e vuole superare formule troppo rigide. In Europa trova nuova linfa e uno strumento dal suono smagliante, a Oslo costituisce la sua prima “solo-performance” con “Piano Improvisations” che suscita molto interesse. Due modalità espressive per il jazzista, quello latino e l’aspetto sperimentale.

Nel ‘71 Corea torna alla collaborazione con Stan Getz e fornisce due composizioni tra le migliori “La Fiesta” e “Times Lie”, i tempi sono maturi per dar vita a “Return to Forever” (il ritorno alle cose di sempre), uno dei maggiori gruppi del movimento jazz-fusion, insieme alla cantante brasiliana Flora Purim.

La sua musica torna ad insaporirsi di aromi latini, in una dimensione danzante e cantabile con le composizioni “Spain”, “500 Miles High”.

Nel ‘78 Chick e il suo vecchio amico Herbie Hancock decidono di associarsi per realizzare una serie di concerti negli Stati Uniti, si siedono davanti a due Steinway gran coda senza altri strumenti attorno e il successo della tournée è trionfale con tecnica, immaginazione e teatralità, a volte non apprezzata. Altra accoppiata di successo sarà Corea – Burton che a Milano nel ‘80 regala al pubblico un concerto di ottimo livello.

Insieme a Herbie Hancock e Keith Jarrett, Chick Corea è considerato uno dei migliori jazzisti a livello mondiale con la pubblicazione di 80 album e vincendo il prestigioso premio Grammy in 23 occasioni.
E’ il caso di dire che il musicista e l’uomo appaiono definiti, proprio nella variabilità della loro immagine. L’intervista che aveva rilasciato in quegli anni è lo specchio del suo temperamento: “La maggior parte degli artisti pensa che per creare delle cose belle, profonde e originali, sia necessario provare angoscia e sofferenza. Per me questo è un modo deplorevole di pensare… Non ci sono individui che non portino in sé il desiderio fondamentale di creare la bellezza. Questo desiderio è esso stesso una forma d’arte… il mio ideale è quello di creare un equilibrio tra il modo d’essere proprio dell’artista e quello di un uomo che vuole avere i piedi sulla terra per condurre una vita stabile, normale”.

Tutto fa pensare che ci sia riuscito, salutando prima tutti i suoi fan e amici musicisti con i quali ha condiviso la sua passione per suonare e imparare.

 

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