Val di Non – Sole – Paganella
La storia della moneta in Val di Non. Ne ha parlato in webinar lo storico Alberto Mosca

Venerdì sera l’associazione Giovani Soci Cassa Rurale – Val di Non ha organizzato una splendida serata in webinar nella quale si è parlato della storia della moneta in Val di Non, dall’antichità fino ai tempi moderni.
Il relatore di tale serata è stato Alberto Mosca, giornalista, storico, vicedirettore del mensile delle valli del Noce e direttore del Notiziario “La Val”.
Alberto Mosca, persona di grande cultura, ha raccontato alle persone presenti a distanza quali tipi di monete erano presenti nell’antichità, i loro utilizzi e come si sono evolute nel corso del tempo, focalizzandosi specialmente sulla Val di Non.
La moneta è nata in Asia Minore nell’VIII-VII sec. a.C. Prima della nascita della moneta si utilizzava il baratto. Gli scambi si sono poi evoluti utilizzando gli animali da lavoro (principalmente i buoi) come fonte di ricchezza.
Si era però arrivati al punto in cui le grandi ricchezze non potevano essere trasportate come buoi. Serviva qualcosa di più agile. L’Asia Minore era un territorio pieno di oro e di argento e gli scambi commerciali prosperavano.
Re Mida e Re Creso avevano così coniato la moneta. Era arrivata nel Sud Italia nel III sec. a.C. e in Pianura Padana (quindi in Val di Non) nel II a.C.
La moneta che arrivò in Italia derivava dai Greci, dalla quale però i Romani si staccarono e coniarono nel 217 a.C. una moneta propria, il denario, che aveva la funzione di pagare le truppe. Dal 221 a.C. era stato coniato il Vittoriato, moneta destinata al commercio con le popolazioni del nord Italia.
Le monete avevano però anche altre valenze: fungevano da riserva di valore, simbolo di distinzione sociale, funzione sacra (venivano coperti gli occhi del defunto con delle monete, assicurandosi così il passaggio di Caronte nel viaggio verso l’oltretomba) e come strumento di propaganda (vedere il volto dell’imperatore e conoscerne le imprese).
La Val di Non, abitata da popolazione retiche e conquistata poi dai Romani è sempre stata una zona di grandi scambi commerciali. La prova più lampante è stato il ritrovamento di monete repubblicane (epoca della Roma repubblicana) in venti paesi della valle. A Denno e Nanno sono state invece ritrovate monete celtiche padane.
Intorno al IV-V sec. a.C delle tribù celtiche valicarono le Alpi e si insediarono nella Pianura Padana, inserendosi così negli scambi fra le popolazioni alpine e quelle dell’Italia centrale.
Massalia (odierna Marsiglia) era una colonia greca e i suoi ricchi traffici si sviluppavano fra l’Europa e il Mediterraneo. I Romani conquistarono i Reti e quindi la Val di Non (I sec. d.C.) e la valle venne inondata di monete: quelle celtiche (che già circolavano), quelle marsigliesi e quelle romane.
Flavian Orger nel 1878 aveva composto la prima mappa dei ritrovamenti monetari in Val di Non: in 32 località erano state trovate 1400 monete di cui 200 identificate per autorità emittente.
Nel 1898 Giorgio Ciani pubblicò sulla Rivista Italiana Numismatica il ritrovamento di un ripostiglio monetale a Dambel con più di 200 monete.
L’ultimo censimento delle monete della Val di Non è stato condotto da Giacomo Roberti nel 1950. La novità in tale censimento è il tesoro di Rumo, ripostiglio con 1000 pezzi di monete imperiali romane.
Tutte le località nelle quali sono state rinvenute le monete si trovano lungo i due assi stradali della valle. Ciò significa che le strade della Val di Non erano percorse e floride dal punto di vista commerciale.
Con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente e l’inizio dell’Alto Medioevo gli scambi avvennero sempre meno (instabilità politiche, guerre, crisi) e la moneta lentamente sparì. Si ritornò al baratto o si utilizzarono delle monete romane spezzettate.
Nel 781 Carlo Magno diede il via a una riforma monetaria che durerà per più di mille anni. Alla metà del ‘900 alcune nazioni utilizzavano ancora il sistema di Carlo Magno. La riforma stabiliva che da una libbra d’argento (408 grammi) dovessero essere ricavati 240 denari da 1,7 grammi.
Verso la fine del XII secolo nasceva la Zecca di Trento, che coniava le proprie monete per la città di Verona. La Zecca fu costretta a chiudere nel 1272 a causa dell’iniziativa del nobile Mainardo del Tirolo. Il nobile voleva accaparrarsi il mercato della zecca di Trento e aprì nel 1253 una zecca a Merano. Le monete erano di pregevole fattura e diventarono ben presto protagoniste nel mercato europeo.
Il vescovo Niccolò Bruno riaprì la zecca di Trento nel 1341 ma ebbe vita breve. Dopo soli sei anni la zecca chiuse nuovamente. Durante il Medioevo molti nobili (Thun, Spaur, Firmian) e principi vescovi trentini (Bernardo Clesio) erano soliti coniate monete. Le monete erano però più che altro autobiografiche e di esaltazione personale. Non erano destinate al commercio.
Con la Rivoluzione Francese (1793) la Francia era il primo stato che si staccava dal sistema monetario di Carlo Magno. Istituì il sistema decimale, con il franco che valeva 100 centesimi. L’Impero Austro Ungarico arriverà al sistema decimale nel 1892 e l’Inghilterra addirittura nel 1966.
L’Unione Monetaria Latina, di cui facevano parte Francia, Belgio, Italia e Svizzera, nel 1865 aveva deciso di stabilire un sistema di parità fra le varie valute facilitando così gli scambi. Fino al 1927 si unirono via via altri paesi europei.
Con gli accordi di Bretton Woods (1944) si stabilì che i paesi partecipanti basavano la propria politica monetaria su rapporti di cambio fissi tra le valute, tutte agganciate all’oro. Con la Smithsonian Agreement del 1971 i cambi non erano più legati alla presenza dell’oro ma a quella del dollaro.
Appare scontato e banale affermare che l’argomento sia stato interessante. Il merito è stato tutto di Alberto Mosca, che con la sua spiegazione chiara e semplice allo stesso tempo, ha tenuto tutti i partecipanti “incollati” al computer.
Grandi meriti vanno anche ai ragazzi dell’associazione Giovani Soci Cassa Rurale – Val di Non che hanno curato tutta la parte tecnica dei collegamenti fra il relatore e i partecipanti alla riunione.
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