Io la penso così…
Coronavirus, scuola: chi si deve occupare dell’insegnamento dei nostri figli?

Egregio Direttore,
sono Francesco, papà di Andrea, e vorrei rendere pubblica la riflessione fatta dopo un episodio avvenuto nella scuola di mio figlio: il 30 ottobre, Andrea (che frequenta la 5° elementare di una scuola della bassa Valsugana), mi ha riferito che una compagna di classe è stata prima ripresa dal gruppo dei pari a causa della mascherina portata distrattamente sotto il naso, e poi presa come esempio negativo dall’insegnante che ha approfittato dell’episodio per una lezione sull’importanza della stessa e il suo corretto utilizzo.
Ciò che mi chiedo è: è compito della scuola l’educazione sanitaria dei bambini? E lo è anche a costo di umiliare una bambina di 9 anni, che si è sentita prima emarginata e bullizzata dal gruppo, e poi additata anche dall’insegnante?
A chi spetta l’educazione sanitaria dei ragazzi, agli insegnanti o alla famiglia?
E se la famiglia ritenesse per la figlia più importante una buona respirazione che non una mascherina portata in un gruppo coeso e costante, nel quale, come in tutti i gruppi che si frequentano quotidianamente – è sostanzialmente impossibile garantire il rischio Zero, così come è impossibile che la si porti correttamente (ovvero senza mai toccarla sul davanti, disinfettando le mani prima e dopo averla indossata, prendendola solo dagli elastici laterali… Tutte regole che nemmeno gli adulti riescono a rispettare)?
Naturalmente, noi genitori di Andrea viviamo questa realtà come un qualcosa di profondamente Sbagliato. Educare deriva da educere, tirar fuori. Non buttare dentro.
Riteniamo che quello che la scuola dovrebbe insegnare è costruire un pensiero critico, imparare a valutare le situazioni e prendere decisioni coerenti, non imporre le proprie convinzioni e idee, sulle quali la stessa scienza si divide (importanti medici ed anche esponenti della task force governativa hanno dichiarato di ritenere sostanzialmente inutile portarla in determinate situazioni, in altri Stati non vige alcun obbligo, in altri gruppi chiusi non è ritenuta necessaria…)
Oggi invece assistiamo ad uno sgretolarsi dei punti di riferimento di questi bambini.
Le stesse maestre a cui loro si affidavano nei momenti di sconforto o difficoltà, che fino all’anno scorso li sostenevano ed accoglievano, oggi si trasformano in carcerieri, più o meno aggressivi nel far rispettare “regole” che sono state imposte e non condivise, e che nulla hanno a che vedere con l’ambito della formazione scolastica. “Metti la mascherina – tieni le distanze – lascia aperta la finestra – non urlare – non correre – non alzarti dal banco – non andare in bagno se non accompagnato – non prestare la penna al tuo compagno – non toccare la sua merenda”
Ci rendiamo conto del clima nel quale i bambini sono costretti a vivere ormai da mesi, col termine finale di questa situazione “provvisoria” che continua a spostarsi in avanti di settimana in settimana, quando altri paesi hanno preso strade diverse, lasciando i propri cittadini liberi di vivere e “respirare”?
Possiamo per un attimo metterci nei panni dei bambini, immaginare che per alcuni sia difficile questo rapporto con la mascherina? Che possano sentirsi a disagio nel non poter più interagire normalmente come prima con i compagni e le maestre? Che siano attanagliati dalla paura di fare qualcosa che “non va bene”, per cui possono essere continuamente ripresi?
Che soffrano nel dover mantenere un distanziamento innaturale con gli stessi compagni con cui poi il pomeriggio vanno in piena tranquillità a giocare al parco, si toccano, si spingono, si parlano, scherzano, urlano, si scambiano oggetti e magari anche un pezzo di merenda?
Ecco, se possiamo immaginare quanto contraddittoria e punitiva possa essere questa situazione per i bambini, allora dobbiamo chiedere alle figure con cui loro passano il tempo scolastico, di avere discernimento.
Invece assistiamo a lezioni di indottrinamento e azioni “punitive” se un bambino toglie la mascherina perché gli dà fastidio, o non disinfetta la matita, o usa il gesso di un amico anziché il proprio
Con questa lettera voglio cercare di portare il punto di vista dei bambini, il 70% dei quali, secondo una ricerca del Gaslini di Genova, ha difficoltà dal punto di vista psicologico, a seguito di questi mesi di chiusura, distanziamento, ribaltamento di un mondo che non poggiava – come quello degli adulti – su basi stabili.
Questo repentino cambio di paradigma e di atteggiamento degli adulti di riferimento, li sta disorientando e intristendo. Stiamo togliendo loro la spontaneità e la voglia di vivere, rischiamo di farne dei bravi soldatini che rinunciano a vivere per la paura di sbagliare.
Sappiamo che i nostri figli stanno male a non poter vivere appieno la loro infanzia. Se togliamo, o solo scalfiamo, il loro diritto ad essere tranquilli, innocenti, bambini, già abbiamo perso. Tanto più che in questa pandemia, non sono i bambini, quelli che – fortunatamente – devono essere tutelati. E’ davvero questo che vogliamo?
Lettera firmata
Potete inviare le email al direttore da inserire nella rubrica «io la penso così» scrivendo a: redazione@lavocedeltrentino.it
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