Società
Il vero potere è nella mani della magistratura? La politica scende in campo

Egli rispose: “Guai anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!” (Luca Lc 11,37-53 – Gesù contro i Farisei).
E’ tornato di grande attualità il tema Giustizia.
L’annuncio della lista dei magistrati che ostacolano il Viminale è arrivato dopo mesi di tensioni e in particolare ora che il Tar della Toscana ha annullato il provvedimento sulle «zone rosse» di Firenze.
Sotto la lente d’ingrandimento articoli, pubblicazioni e prese di posizione.
La notizia e la pubblicazione non troverà facilmente riscontri concreti visto che i magistrati dipendono solo dal C.S.M. ma certamente se voleva essere un messaggio forte alla categoria è arrivato.
Certamente non tarderanno ad arrivare le repliche.
Ha fatto inoltre clamore e fa discutere la dichiarazione del Ministro Avv. Giulia Bongiorno, sui test psicologici ai magistrati. Pone in luce un tema veramente centrale. Il potere di una delle categorie più importanti per la vita pubblica capace di condizionare anche la politica.
La Ministro suggerisce di cambiare alcune regole d’accesso alla magistratura rendendole più simili ai percorsi d’accesso in polizia che prevedono anche per i semplici agenti accertamenti fisici e psicologici: “Ci vuole anche una verifica psicoattitudinale: non può diventare giudice solo chi è più bravo degli altri a imparare a memoria i codici e la giurisprudenza, sono indispensabili anche doti caratteriali di equilibrio e buon senso. Poi, una volta superato l’esame, serve una formazione accurata e completa e se, vinto il concorso, il tirocinio va male, dev’essere inibita ogni possibilità di accesso alla magistratura…”.
Un idea per la riforma del Csm (Consiglio Superiore della Magistratura): “È da rivedere il sistema d’elezione, la situazione attuale crea patologie. Io non sono contro la libertà di pensiero, e non mi scandalizza che nel Csm ci siano correnti; ma bisogna evitare la politicizzazione dell’organo e gli scontri tra fazioni, magari pensando a un sorteggio tra una rosa di nomi indicati dalla politica e dalla categoria”
La Bongiorno ha preso nota anche della proposta di Salvini di abolire il reato di abuso d’ufficio, nemico – sempre secondo il vicepremier – del buon funzionamento delle amministrazioni: “Il sistema è dominato dalla burocrazia e da un’ipertrofia di norme, spesso sindaci o funzionari restano inerti per non rischiare
Ad impossibilia nemo tenetur, nessuno è tenuto all’impossibile.
Rendere l’amministrazione della giustizia davvero giusta e perfetta non è possibile in quanto amministrata dagli uomini, imperfetti per definizione.
Tuttavia il miglioramento della stessa è possibile ed auspicabile. Si è passati dal Re giudice alla nostra attuale suddivisione dei poteri in: legislativo, esecutivo e giudiziario. ma , tale suddivisione teorica non sempre è tradotta in prassi e vi sono a volte invasioni di campo e polemiche per la magistratura politicizzata e gli errori giudiziari che restano a carico dello Stato.
Da qui il tema della responsabilità dei Magistrati ed errori giudiziari. Il’ordinamento italiano prevede la possibilità di rimediare a un errore giudiziario anche dopo la morte del condannato: il procedimento di revisione di sentenza di condanna anche da parte di un erede o da un prossimo congiunto del condannato che sia deceduto (art. 632 c.p.p.). Il sistema italiano di Civil Law deriva dalla legge e viene orientato dalle decisioni delle Corti Superiori, ma a volte conduce a interpretazioni singolari – quando non a veri e propri errori giudiziari – dell’utilizzo della giustizia, interpretazioni che per il senso comune rappresentano profonde ingiustizie e distorsioni.
Summum ius, summa iniuria , affermava Cicerone nel De officiis. Accade che per reati molto gravi e ripugnanti i condannati riescano ad evitare condanne e pene esemplari, mentre per reati più leggeri viene comminata una sanzione sproporzionata per eccesso. Si pensi, per esempio, ai noti seppur plurimi reati bagatellari.
È interessante notare come l’opinione pubblica si interessi della responsabilità dei Magistrati solo in concomitanza di eventi personali o particolari ed eclatanti, e se ne curi molto meno in altri momenti.
Ma è certo che il settore della magistratura dopo gli ultimi scandali ha raggiunto il minimo storico come credibilità
Solo un italiano su tre dichiara di aver fiducia nella magistratura, mentre per il 51% dei cittadini è il contrario.
Lo scandalo che ha coinvolto il Csm, investito da casi di corruzione e favoritismi, ha portato la fiducia degli italiani nei giudici ai minimi storici.
Un sondaggio pubblicato da FanPage sottolinea come ci sia il rischio che la credibilità della Giustizia venga meno e che qualsiasi inchiesta o sentenza futura possa essere screditata dall’opinione pubblica
Un referendum del 1987 e una sentenza della Corte di giustizia europea hanno affermato la responsabilità civile dei magistrati, ma anche in caso di colpa semplice o errore è lo Stato a risarcire le vittime, mentre il magistrato colpevole subisce in pochi casi una sanzione disciplinare.
L’errore è previsto e gestito, ma non crea clamore solo in epoca recente: già Terenzio ( Heautontimorumenos, IV, 5) asseriva che ius summum saepe summa est malitia.
La citazione indica che un’applicazione acritica della legge, che non tenga conto di dover applicare le norme nel singolo caso e delle finalità a cui queste dovrebbero tendere, ne uccide lo spirito e può facilmente portare a commettere ingiustizie o persino costituire strumento per perpetrare l’ingiustizia. Sono vari i casi celebri di errori giudiziari accertati e riconosciuti, passati in giudicato o prosciolti, con imputati divenuti famosi perché accusati di gravi reati, ma in realtà innocenti, come il caso di Enzo Tortora, Pietro Valpreda, Rino Formica, Calogero Mannino e molti altri.
Il sistema attuale di responsabilità per l’illecito commesso da chi è investito di funzioni giudiziarie è fondato sul principio generale che l’azione risarcitoria è esperibile dal cittadino danneggiato nei soli confronti dello Stato e non direttamente nei confronti del magistrato che ne ha dato occasione. La scelta del legislatore trova giustificazione nella necessità di evitare che l’esercizio dell’azione risarcitoria da parte del privato possa essere strumentale all’artificiosa creazione dei presupposti per l’eliminazione di un giudice sgradito attraverso la via della ricusazione e, quindi, a garanzia dell’indipendenza e dell’autonomia dell’ordine giudiziario.
La Consulta con sentenza del 5 novembre 1996 n. 385, ha statuito che non sono ravvisabili principi costituzionali che possano escludere la responsabilità dei magistrati per danno all’erario: gli stessi art.101, 102, 104 e 108 cost., nel garantire l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, “ non assicurano al giudice uno status di assoluta irresponsabilità, pur quando si tratti di esercizio delle sue funzioni riconducibili alla più rigorosa e stretta nozione di giurisdizione”.
La responsabilità civile dei magistrati nell’ambito dell’esercizio delle funzioni giudiziarie è stata introdotta nel nostro ordinamento dalla legge n. 117 del 13 aprile 1988 (legge Vassalli), approvata a seguito del referendum abrogativo della previgente normativa considerata fortemente limitativa sul piano della responsabilità civile dei giudici.
La legge Vassalli ha cercato di contemperare il principio della responsabilità civile dei giudici con l’esigenza di salvaguardarne l’indipendenza e l’autonomia e ha introdotto la c.d. clausola di salvaguardia.
In più occasioni nel corso degli anni la Corte di Giustizia di Lussemburgo condannava l’Italia per una serie di profili di illegittimità che la legge Vassalli presentava nei confronti della normativa europea. Già questi passaggi avrebbero dovuto far comprendere al legislatore italiano che da tempo erano stati delineati un insieme di elementi e presupposti per considerare incompatibile la disciplina dettata dalla legge Vassalli con il diritto europeo.
Con le pronunce della Corte di Giustizia l’Italia veniva sanzionata poiché la disciplina contenuta nella legge Vassalli escludeva la responsabilità dello Stato anche in caso di violazione manifesta del diritto comunitario commesso dai giudici di ultima istanza.
In seguito alle sentenze della Corte di Giustizia europea è stata modificata in più punti la legge del 13 aprile 1988, n. 117 “ Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio nelle funzioni giudiziarie e responsabilità civili dei magistrati”. La legge n. 18 del 28 febbraio del 2015 rubricata “ Disciplina della responsabilità civile dei Magistrati” , in effetti ha ad oggetto principalmente la responsabilità civile dello Stato per il fatto del magistrato
Con la riforma della legge Vassalli è stata soppressa la frase di chiusura “ che derivino da privazione della libertà personale”, precedentemente prevista dal comma 1 dell’articolo 2, mentre sono state ampliate le ipotesi di risarcimento dei danni, patrimoniali e non.
E’ stato inoltre sottolineato che per il requisito dell’ingiustizia, il danno, per poter essere risarcito, deve rappresentare in ogni caso l’effetto di un comportamento, atto o provvedimento giudiziario compiuto da un magistrato con “dolo” o “colpa grave” nell’esercizio delle sue funzioni oppure conseguente a “diniego di giustizia”.
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