Trento
«Le Albere a Trento: un quartiere ancora in cerca di identità»

Ormai sono passati diversi anni, precisamente quattro (era l’8 luglio 2013) dall’inaugurazione del quartiere Le Albere di Trento, uno dei progetti di riqualificazione urbana più famosi e discussi degli ultimi tempi.
Al di là della pregevole operazione architettonica e urbanistica realizzata sull’area ex Michelin dal Renzo Piano Building Workshop, oggi ci troviamo di fronte ad un’occasione di rigenerazione urbana riuscita a metà. Se un progetto di così alto livello ha garantito da una parte una vetrina ineguagliabile per la città, dall’altra si è dimostrata un’operazione troppo teorica ed incapace di coinvolgere le professionalità locali per la costruzione del nuovo paesaggio urbano.
Infatti sono stati ignorati gli esiti del concorso di idee limitato ai soli progettisti trentini, indetto nel 1999 da Iniziative Urbane S.p.A. (società composta da alcuni investitori locali, per lo più del settore bancario e assicurativo e poi liquidata nel 2010), per la riqualificazione urbanistica dell’area ex Michelin finalizzato alla redazione di apposita variante al Prg.
L’idea della riqualificazione aveva avuto origine nel 1998, quando la città di Trento aveva intrapreso un percorso di trasformazione e valorizzazione urbana dell’area fino a poco prima occupata dall’attività dello stabilimento Michelin continuata ininterrottamente per 70 anni, fino al 1997. La produzione si estendeva su una superficie di 113.000 mq, dei quali 68.000 mq coperti da fabbricati.
L’iter burocratico, finanziario e progettuale è iniziato con la presentazione al Ministero competente del Programma di Riqualificazione Urbana e Sviluppo Sostenibile del Territorio (Prusst). Contestualmente si è proceduto all’acquisizione dell’area da parte Iniziative Urbane S.p.A..
Nel 2002 avviene quindi la sottoscrizione dell’Accordo Quadro del Prusst che apre le porte alla realizzazione dell’iniziativa. sono seguite la collaborazione con l’architetto Renzo Piano, fortemente voluta dall’Amministrazione comunale, l’opera di demolizione, le valutazioni favorevoli da parte delle Istituzioni competenti e le concessioni edilizie per iniziare i lavori.
Lo scopo del progetto era quello di recuperare il rapporto della città con il suo fiume e consegnare alle future generazioni il segno della migliore cultura urbanistica e architettonica contemporanea. Si tratta però, almeno per ora, di un ottimo intervento dal punto di vista teorico ma di un’occasione di rigenerazione urbana discutibile.
Nonostante l’inserimento di alcune funzioni pubbliche che vorrebbero andare in questa direzione, come l’azzeccatissimo MUSE, ideale aggiunta contemporanea al cinquecentesco Palazzo delle Albere, e la biblioteca universitaria recentemente inaugurata (in realtà nata come centro congressi) il risultato non è dei migliori in termini di centralità del quartiere nella vita cittadina.
Ci troviamo di fronte ad un intervento troppo omogeneo che non è ancora in grado di rigenerare questa porzione di città, rivolgendosi quasi esclusivamente ad una clientela di un ceto sociale medio-alto che non è numericamente in grado di occupare nella quasi totalità un quartiere di queste dimensioni in una città che conta 117.000 abitanti.
Il mix funzionale al quale doveva ispirarsi l’intera area non ha dato i frutti sperati, perché il quartiere Le Albere incontra grosse difficoltà ad essere vissuto e abitato, nonostante gli sforzi che i progettisti hanno fatto sulla diversificazione delle funzioni e sullo studio delle zone centrali di Trento, da cui sono state riprese le proporzioni e le dimensioni degli edifici, così come l’ampiezza e la lunghezza delle strade.
Tutto ciò conferma ed amplifica le criticità storiche e urbanistiche di uno dei luoghi meno ospitali della conca di Trento, collocato proprio sotto le pendici del Monte Bondone, dove il sole tramonta ben prima della fine naturale delle giornate.
Un sito sul quale non era mai stata edificata residenza e che si trova oggi davanti all’ardua sfida di dover rigenerare se stesso cambiando target di abitanti e frequentatori. Infatti, gli interventi di rigenerazione urbana maggiormente riusciti sono quelli che hanno coinvolto la fascia più ampia possibile di popolazione, dando vita a vere e proprie azioni sociali generative in grado di creare nuovi posti di lavoro e di conseguenza un miglioramento non solo dell’ambiente urbano, ma anche dell’apparato sociale.
Per questo sarebbe necessario investire, contestualmente alle trasformazioni edilizie ed urbanistiche, anche sulle persone che andranno ad abitare il quartiere con funzioni produttive innovative o micro-prestiti per l’apertura di attività commerciali di vicinato.
In questo modo si può creare un quartiere che generi economia stabilmente nel corso del tempo. Dal punto di vista fisico, il vero fattore che condiziona il quartiere rispetto al resto della città è la presenza della ferrovia, che nei piani originari del Prg doveva essere interrata e che costituisce una barriera fisica dalla presenza ingombrante.
Soprattutto quando cala la sera, l’estraneità di questo pezzo di città rispetto alla parte storica si fa terribilmente evidente. I residenti si lamentano anche dell’assenza di un minimarket che possa rendere maggiormente autonomo l’intero quartiere.
Difatti sono sempre più insistenti le lamentele degli operatori commerciali che denunciano tariffe comunali care come in centro storico, dimostrazione lampante del fatto che una porzione di città non consolidata come un nuovo quartiere, non può generare ricchezza se non viene incentivata economicamente a farlo.
La mancanza di un numero sufficiente di fermate degli autobus urbani è un altro fattore critico, che non consente di movimentare tutto il quartiere favorendo così cattive frequentazioni degli spazi pubblici nelle ore notturne.
Anche i parcheggi pubblici gratuiti rappresentano un elemento di criticità, perché non sono stati concepiti in numero sufficiente per dare un sostegno significativo alle attività commerciali e non aiuterebbe la paventata possibilità di metterli a pagamento. Inoltre, i posti auto liberi a lato della carreggiata stradale sono messi a fila indiana, quando una semplice disposizione a pettine o a spina di pesce ne aumenterebbe il numero.
Inoltre, manca un parcheggio per i pullman organizzato per i visitatori del MUSE. La situazione critica del quartiere sta compromettendo anche il completamento degli ultimi lotti, tanto che parte dei terreni confinanti che dovevano rappresentare la “fase B” del progetto saranno venduti all’asta ad un prezzo di circa la metà di quello al quale erano stati acquistati una decina di anni fa.
Una delle società che aveva investito in questi terreni (oltre 8.000 mq), un’importante realtà dell’edilizia trentina, è fallita nel 2015 proprio a causa delle tempistiche di completamento del progetto. L’area in questione è in stato di abbandono, circondata da altri terreni di proprietà della Provincia di Trento e di una società immobiliare privata.
La prima (attraverso Patrimonio del Trentino) possiede il 60 per cento circa del cosiddetto “comparto B” delle Albere, mentre l’altro soggetto privato possiede il 15 per cento e il restante 25 per cento fa parte del patrimonio dell’impresa fallita. E poco distante c’è anche il lotto C, con la stazione elettrica al servizio della ferrovia al confine con via Monte Baldo, anch’essa destinata a rimanere al proprio posto.
Dal punto di vista economico, i dati relativi al 2015 del Fondo immobiliare Clesio, proprietario del quartiere e fortemente indebitato, delinea una situazione tutt’altro che rosea. Il 40% degli alloggi del quartiere resta ad oggi invenduto e nel complesso, anziché essere un punto focale della vita cittadina, rimane ancora un quartiere periferico.
Soprattutto la zona più a sud dell’area è quasi del tutto desertificata, con la sola biblioteca e un hotel a creare movimento. In controtendenza è solo l’impatto economico positivo portato alla comunità dal MUSE. Uno studio effettuato dallo stesso museo nel 2015, un anno e mezzo dopo l’inaugurazione, indica infatti l’indotto economico sulla città di Trento di 50 milioni di euro: 10,8 di impatto diretto (forniture, stipendi ai dipendenti); 7,9 di impatto fiscale indiretto (IRPEF e IRAP) e 32,1 milioni di indotto sul sistema economico provinciale legato ai visitatori che giungono in città. Il tutto a fronte di un investimento da parte di Patrimonio del Trentino (con contributo provinciale) pari a 73,9 milioni di euro per la sua realizzazione.
Le casse pubbliche hanno poi contribuito con altri 45,6 milioni di euro alla nuova Biblioteca universitaria per una cifra investita totale che si aggira alla metà di quella che è stata necessaria per realizzare l’intero quartiere, pari a 220 milioni di euro.
A cura dell’architetto Giampaolo Evangelista
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