Italia ed estero
Trump il “no global”: ecco il segreto del suo successo
Mercoledì Donald Trump ha messo al sicuro la vittoria nelle primarie del Partito Repubblicano. I due sfidanti rimasti in gioco, Ted Cruz e John Kasich, hanno, infatti, gettato la spugna di fronte a uno svantaggio ormai incolmabile. Un successo contro tutti i pronostici.

Mercoledì Donald Trump ha messo al sicuro la vittoria nelle primarie del Partito Repubblicano. I due sfidanti rimasti in gioco, Ted Cruz e John Kasich, hanno, infatti, gettato la spugna di fronte a uno svantaggio ormai incolmabile. Un successo contro tutti i pronostici.
“Trump è un razzista, come la maggior parte dei suoi elettori”, denunciano da mesi, in maniera imperterrita, le principali testate americane, criticando di volta in volta le sue proposte per deportare i cittadini che risiedono in maniera illegale negli Stati Uniti, per creare un muro al confine del Messico o per bloccare gli ingressi agli individui di fede musulmana.
La chiave del suo successo del magnate americano non sta in, però, in queste bizzarre proposte. I suoi discorsi non sono, infatti, solo infarciti di insulti contro ogni tipo di minoranza, ma riflettono anche le ansie di varie fasce della popolazione di fronte all'irrefrenabile liberalizzazione dei mercati.
La critica di una politica economica che ha messo in ginocchio la classe operaia, questa è la vera chiave del successo di Trump. A ogni comizio, il controverso imprenditore americano condanna con veemenza i “disastrosi accordi di libero scambio fatti dai nostri leader”, promettendo che, se eletto presidente, costringerà le multinazionali che hanno tradito l'America, spostando la produzione all'estero e spesso eludendo le tasse, a riportare i loro stabilimenti in patria.
Demagogia spiccia che, però, intercetta le preoccupazioni più che legittime di una buona fetta della popolazione.
Gli accordi di libero scambio dividono la società americana. La classe medio-alta, quella dei professionisti e della manodopera qualificata, che monopolizza il dibatto sui media, sostiene senza indugi le virtù del libero mercato, considerate così ovvie da non richiedere neppure uno sforzo per giustificarle.
Ma il restante 80 per cento della popolazione vede gli accordi di libero scambio con occhi completamente diversi. Questi hanno permesso alle imprese americane di delocalizzare la loro produzione all'estero, lasciando centinaia di migliaia di persone senza lavoro. Esponenti di una classe operaia che può essere facilmente sostituita dai più economici lavoratori messicani o cinesi. Sono loro, gli sconfitti della globalizzazione, il cuore pulsante dell'elettorato di Trump. Una classe media impoverita, ripudiata dal Partito Democratico, un esercito dalle dimensioni molto più grandi rispetto a quanto la stampa vorrebbe fare credere.
Si tratta di uomini e donne che sono stati privati di un futuro dalla deindustrializzazione che ha seguito il NAFTA (Accordo nordamericano di libero scambio) e la normalizzazione delle relazioni economiche con la Cina, durante la presidenza di Bill Clinton.
Ora, toccherà proprio a sua moglie, Hillary Clinton, ormai quasi certa candidata democratica alla presidenza, prendere in considerazione le istanze di questi diseredati, senza bollarli ingiustamente come “razzisti” ma cominciando a comprenderne le legittime preoccupazioni.
Una lezione che vale anche per la vecchia Europa: se le forze progressiste continueranno a ignorare gli sconfitti della globalizzazione, il ritorno di fiamma dei nazionalismi diventerà difficile da arginare.
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