Italia ed estero
Primarie Usa: Clinton e Trump vincono ma non convincono
È un’America sempre più spaccata quella che si prepara a scegliere il successore di Barack Obama. Mentre i Repubblicani procedono a tutta velocità verso l’autodistruzione, sul fronte democratico la macchina da guerra clintoniana non è ancora riuscita a mettere KO il soldato Sanders.

È un’America sempre più spaccata quella che si prepara a scegliere il successore di Barack Obama. Mentre i Repubblicani procedono a tutta velocità verso l’autodistruzione, sul fronte democratico la macchina da guerra clintoniana non è ancora riuscita a mettere KO il soldato Sanders.
Sono “tempi duri, per uomini duri”. Lo ha imparato a sue spese Marco Rubio, il giovane senatore della Florida, che oggi si è ritirato dalla corsa per la nomination repubblicana, dopo che Donald Trump è riuscito a batterlo anche a casa sua. È la fine di un sogno per il senatore di origine cubane, che a febbraio aveva accarezzato la possibilità di emergere come paladino dell’establishment del partito.
Ma in queste primarie, l’establishment repubblicano conta poco o nulla. Nonostante la massiccia campagna mediatica contro di lui, Trump ha vinto ieri in Florida, Illinois, North Carolina e conduce in Missouri davanti a Ted Cruz, quando il 99 per cento delle schede sono state contate. Trump ha perso solo in Ohio, dove a spuntarla è stato il governatore di quello stato, John Kasich, unico moderato ancora in campo in una corsa ormai a tre.
Nonostante il poker di vittorie, però, Trump è lontano da ottenere il numero di delegati necessario per mettere al sicuro la nomination. Il magnate newyorchese è ora a quota 621, per vincere la nomination ne servono ben 1.237. E anche se arriverà primo, cosa peraltro molto probabile, non è da escludere che il partito repubblicano scelga di far blocco intorno a Ted Cruz, il rivale superconservatore, che lo segue a quota 395 delegati.
I vertici del partito sono rassegnati alla sconfitta nelle elezioni generali e si vocifera che, mandando avanti Cruz al posto di Trump, si riuscirà perlomeno a smentire la tesi sostenuta dallo stesso Cruz e cioè, che nelle due ultime elezioni i Repubblicani non hanno vinto perché si sono presentati con candidati “non sufficientemente conservatori”.
Mentre il partito che fu di Ronald Reagan va in fiamme, i Democratici si avviano senza troppi inghippi a incoronare Hillary Clinton loro candidata per le elezioni generali. La “candidata da battere” ha avuto finora gioco abbastanza facile contro il suo rivale Bernie Sanders, il senatore del Vermont che ama definirsi socialdemocratico.
Ieri sera Clinton ha vinto in tutti e cinque gli stati in cui si votava, arrivando a quota 1.094 delegati. Per vincere la nomination democratica, però, gliene serviranno ben 2.383. Un risultato che dovrebbe raggiungere senza troppi problemi.
Tuttavia, Sanders non dà segni di cedimento e resta in corsa: sa di aver poche speranze per vincere la nomination ma sa anche che continuando a pungolare la Clinton la costringerà a virare sempre più a sinistra sulle tematiche economiche e sociali.
Non tutto il male viene, però, per nuocere. Per trionfare a novembre, Clinton dovrà riuscire a conquistare i cuori di coloro che oggi votano in massa per Donald Trump. Uomini e donne arrabbiati per essere stati esclusi dal rinnovato benessere di cui ha goduto l’America negli anni successivi alla crisi finaziaria.
In questo, Sanders potrebbe darle qualche consiglio.
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