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In Spagna va in onda in queste ore un film che gli italiani conoscono già bene. Mariano Rajoy, premier uscente e leader del Partito popolare, arrivato primo alle elezioni generali del 20 dicembre, ha avviato le consultazioni per formare un nuovo governo. Avrà tempo fino al 13 gennaio, giorno in cui il nuovo Parlamento si riunirà per la prima volta.
Le recenti consultazione hanno spazzato via il bipartitismo che aveva caratterizzato fino ad ora la storia della democrazia spagnola. Il Partito popolare del premier uscente Rajoy è riuscito a staccare una vittoria di corto muso, arrivando a 123 seggi su un totale di 350. Secondi i socialisti di Pedro Sánchez, con 90 seggi. Terzo, l’uragano Podemos, guidato dal professore con codino, Pablo Iglesias, che ha ottenuto ben 69 deputati. Ottimo quarto posto invece per i liberali anti-casta di Ciudadanos, con 40 deputati.
Per governare servono 176 seggi. In questi giorni, Rajoy sta cercando disperatamente di intascare il sostegno degli altri partiti per formare quello che in Italia verrebbe definito un governo di “larghe intese”. Ma è come continuare a sbattere contro un muro. Con l’eccezione di Ciudadanos, che da solo non ha i numeri per permettere ai popolari di governare, Rajoy sta facendo collezione di “no”.
Gli ha promesso il suo “no” il leader socialista Pedro Sánchez, che nei giorni scorsi ha sottolineato la necessità di “rispettare la volontà degli elettori”, aprendo lo scenario per un’ammucchiata a sinistra, con un matrimonio tra socialisti e Podemos. Condizione imprescindibile per convolare a nozze: i parlamentari guidati da Iglesias dovranno smetterla di sostenere il referendum per l’indipendenza in Catalogna, abbandonando una volta per tutte una soluzione, a detta di Sánchez, destinata a “dividere il popolo spagnolo”.
Ma il leader dei post-indignados non ne vuole proprio sapere delle condizioni di Sánchez. “L’unico modo per difendere la nostra unità è attraverso il processo democratico” ha tuonato Iglesias. Quindi sì al referendum in Catalonia, sperando che la popolazione dimostri la stessa responsabilità degli scozzesi, che un anno fa optarono per restare con la Gran Bretagna.
Ieri Rajoy ha incontrato Iglesias. Come Bersani con Grillo nel 2013, il leader dei popolari si è visto sbattere la porta in faccia. Un sostegno al governo di Rajoy è fuori discussione, ha fatto prontamente sapere dopo l’incontro Iglesias. Ma anche un governo guidato da Sánchez non troverà l’appoggio di Podemos.
Ci vuole un governo guidato da un tecnico vicino agli ambienti di sinistra, ha suggerito il leader dei post-indignados, precisando che la prima azione del suo gruppo all’apertura dei lavori in Parlamento sarà presentare un progetto di legge a favore dei troppi indigenti che rischiano di vedersi tagliata la corrente, di essere sfrattati di casa o di non riuscire ad arrivare a fine mese con la pensione.
Come il Movimento 5 Stelle, i post-indignados di Iglesias rifiutano con ostinazione il compromesso con le altre forze politiche, ritenute irrimediabilmente corrotte. Così facendo, però, vengono meno alla regola più importante del gioco democratico. Senza la ricerca di una sintesi tra le varie posizioni è impossibile rispettare la volontà del popolo spagnolo a cui Iglesias dice di tener tanto.
La verità è che il leader di Podemos vuole sfinire gli avversari stuzzicandoli con proposte inaccettabili. L’obiettivo è tornare alle elezioni e vincerle. Lo ha confermato lui stesso ieri, confidando: “Se si torna a votare, abbiamo ottime possibilità di vittoria”.
Un film che fin qui noi italiani conosciamo bene.
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