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Si vota in Turchia: ecco i partiti in lizza
La Turchia torna alle urne dopo che dalle elezioni politiche dello scorso 7 giugno non è uscita una maggioranza parlamentare in grado di governare.

La Turchia torna alle urne dopo che dalle elezioni politiche dello scorso 7 giugno non è uscita una maggioranza parlamentare in grado di governare.
Nonostante da allora il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, abbia avviato una serie di attacchi contro l’Isis e il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), questa strategia non sembra aver influenzato in maniera tangibile le preferenze degli elettori, con i sondaggi che presentano una situazione quasi invariata rispetto a giugno.
Il parlamento turco ha 550 seggi. È necessario conquistarne almeno 276 per avere la maggioranza. Erdogan e il suo partito, però, vogliono molto di più: il loro obiettivo è arrivare a quota 367, numero di deputati necessario per approvare le modifiche costituzionali necessarie per continuare il cammino di avvicinamento all’Unione europea.
Sono quattro i partiti in lizza che dovrebbero riuscire a superare la soglia di sbarramento del 10%. Netto favorito è il partito islamico di Giustizia e Sviluppo (AKP) del presidente Erdogan. L’AKP è al governo dal 2002 e alle scorse elezioni è riuscito a prendere il 40% dei voti. Si tratta di un partito di ispirazione islamica, che combina un approccio liberale in economia con istanze conservatrici per quanto riguarda le politiche sociali. Obiettivo dichiarato dell’AKP è controllare i tre quarti dei seggi, anche attraverso l’alleanza con altri partiti, per avviare una riforma costituzionale che introduca il sistema presidenziale.
Potenziale alleato dell’AKP potrebbe essere il Partito del movimento nazionalista (MHP), schieramento di destra e ultranazionalista, che alle elezioni del 7 giugno è riuscito a centrare ben il 16,29% dei voti. Il MHP si è da sempre contraddistinto per l’opposizione ai negoziati di pace con i ribelli curdi del Pkk, recentemente interrotti dal governo. Tra i punti del programma elettorale: l’innalzamento del salario minimo, un maggiore supporto finanziario per pensionati e veterani e un abbassamento delle tasse sull’elettricità.
Primo partito di opposizione è invece il Partito repubblicano popolare (CHP), che vanta come fondatore nientemeno che Mustafa Kemal Ataturk, padre della Turchia modena. Il CHP è un partito socialdemocratico e laico, che ha incentrato la sua campagna sull’opposizione all’AKP, considerato irrimediabilmente corrotto. In giugno, il CHP ha raccolto il 24,96% dei voti.
Tutti gli occhi saranno puntati però sul Partito popolare democratico (HDP), filocurdo e guidato da Selahattin Demirtas. L’HDP è stato la sorpresa delle ultime consultazioni elettorali, dove è riuscito a prendere il 13,12% dei voti. Un vero e proprio sisma politico, che domani potrebbe di nuovo scuotere il Paese. Il carismatico Demirtas, infatti, non riscuote consensi solo tra la popolazione curda, ma anche tra una buona fetta degli oppositori di Erdogan.
Il Paese sta attraversando un periodo difficilissimo: alle prese con due milioni di profughi provenienti dai paesi vicini, la Turchia deve fare i conti con le limitazioni alla libertà di stampa e la censura dei social media imposte da Erdogan, lo stop alla crescita economica e gli ultimi attentati a Istanbul e Ankara.
Ora agli elettori tocca decidere se affrontare queste sfide mediante un governo di coalizione o conferendo un forte mandato all’AKP.
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