Trento
Trentino Coraggioso, tavolo Welfare e Salute: considerazioni.
Nella Sala Rosa del Consiglio Regionale Trentino – Alto Adige/Südtirol lo scorso lunedì sera è stato presentato il tavolo Welfare e Salute collegato al progetto #TrentinoCoraggioso promosso dal PATT per il rilancio ed il rinnovamento della nostra autonomia.
Nella Sala Rosa del Consiglio Regionale Trentino – Alto Adige/Südtirol lo scorso lunedì sera è stato presentato il tavolo Welfare e Salute collegato al progetto #TrentinoCoraggioso promosso dal PATT per il rilancio ed il rinnovamento della nostra autonomia.
Essendo un tavolo aperto alla cittadinanza e quindi ai suggerimenti, valutando esclusivamente gli aspetti del welfare legati alla disabilità ci sentiamo di esprimere alcune riflessioni che possano fornire qualche spunto in più al tavolo tecnico sull’argomento che seguirà a breve, convinti che la critica costruttiva possa fare solo del bene al dibattito ed al processo di formazione delle nuove idee.
In particolare avvertiamo l’esigenza, data la vastità e la complessità della materia, di declinare il discorso principale welfare e salute aprendo simbolicamente un tavolo complementare su welfare e disabilità.
I Governi nazionali, che man mano si avvicendano, stretti nella morsa di una recessione ormai strutturale chiedono sempre più sacrifici anche ai cittadini con handicap grave tanto che si prova sempre più spesso ad estendere, in un welfare dove i fondi sono sempre meno, il concetto di sostenibilità anche alla disabilità.
In effetti provare a creare una disabilità sostenibile, attraverso una inclusione reale dei cittadini disabili, all'interno della società e ancor più all'interno delle realtà produttive non è affatto una cattiva idea e potrebbe senz'altro essere remunerativa.
Favorire l'inserimento delle persone disabili e la loro partecipazione attiva all'interno della società civile e nel ciclo produttivo oltre che un dovere morale può essere la chiave per realizzare concretamente il tanto sbandierato concetto di disabilità sostenibile.
Un disabile che è inserito in un sistema produttivo non solo crea reddito e quindi un imponibile ai fini fiscali, ma determina anche un risparmio sensibile per le casse pubbliche in termini di riduzione/annullamento dei sostegni erogati a titolo di pensioni di invalidità/accompagnamento ed un risparmio ulteriore sui costi per i servizi, co-finanziati in base agli indicatori ICEF, di cui necessita (trasporti, cooperative, mense, ecc.).
Inoltre il sentirsi utile, accettato e parte di una comunità incentiva nella persona disabile un effetto di auto-aiuto per affrontare meglio psicologicamente i problemi arrecati dalla patologia invalidante.
Verrebbe da pensare che con un'unica azione si potrebbero cogliere tre benefici. Allora, qual è il rovescio della medaglia in tutto ciò?
Perché i disabili non occupano ancora il posto che gli spetta nella società e nel lavoro e contribuiscono fattivamente al benessere della comunità di cui fanno parte?
Semplicemente perché l'anello debole della catena, che non è stato menzionato nemmeno al tavolo di presentazione di lunedì scorso, è sempre la SCUOLA.
La scuola, questo mondo un po’ a parte, normato da regole che spesso sfuggono al buon senso e che in un universo che evolve alla velocità della luce non è in grado di avere quella flessibilità necessaria per adeguarsi e magari anticipare le esigenze formative e sociali per permettere alle generazioni in erba di arrivare preparate alle sfide sempre più impegnative poste da una realtà globalizzata.
Abbiamo analizzato nei dettagli la bontà del sistema socio-sanitario adottato dalla Provincia Autonoma di Trento nella cura delle persone con svantaggio sociale e/o con handicap, nulla quaestio nel resto della Penisola non sono in atto sistemi paragonabili, ma al di là di tutti gli aiuti in termini economici, di servizi ed altro non è comparsa in questo sistema la grande protagonista della vita e della formazione di qualsiasi adolescente, perché è proprio la scuola la grande assente quando si parla di disabilità e di mancata, o nella migliore delle ipotesi, parziale inclusione sociale.
Nonostante i buoni propositi a favore dell’inclusività disposti dalla L.104/92, legge italiana invidiata e studiata dal resto d'Europa, poco si è tradotto sul piano pratico in oltre venti anni, a nostro avviso, a livello di inclusione scolastica a parte sporadici casi di successo assurti agli onori della cronaca.
Per preparare i cittadini disabili ad una professione, più o meno protetta, bisogna impartire la dovuta formazione specifica alla persona e al contempo è fondamentale l'accettazione, senza remore, della disabilità in tutte le sue manifestazioni da parte della comunità sociale a cui il disabile appartiene e nella quale vive.
Pertanto, negli anni giovanili la persona disabile dovrebbe “fare inclusione” per quanto più è possibile all'interno delle scuole e contemporaneamente la comunità scolastica intera (docenti, discenti ed altri) dovrebbe “fare squadra” attorno al disabile e facilitare il suo inserimento.
Bisognerebbe, finalmente, iniziare a pensare al disabile nella sua integrità e dignità di persona in quanto tale, con pregi e difetti, con punti di forza e debolezze, con esigenze e sogni da realizzare, prima ancora che pensare al disabile come risorsa o ancor peggio come peso per la società.
Solo acquisendo questa consapevolezza si potrebbe cambiare il paradigma dell’accoglienza nelle scuole e si potrebbe iniziare a garantire una corretta integrazione alla base di una successiva ed efficace preparazione al mondo del lavoro.
Sono invece tante le scuole e gli istituti superiori, anche in Trentino, nei quali i disabili sono gestiti in aulette separate per evitare che diano fastidio al regolare svolgimento delle lezioni.
I disabili sono spesso assegnati in maniera esclusiva agli insegnanti di sostegno (molti dei quali accettano l'incarico per guadagnare punteggio in graduatoria ai fini di una più rapida stabilizzazione del contratto di lavoro e non perché credano veramente nella loro missione sociale a favore delle persone con handicap) e i docenti curricolari spesso neanche li hanno mai visti fino al momento delle valutazioni ufficiali.
Talvolta, i disabili sono affidati agli assistenti educatori e spesso è un bene poiché sotto il profilo della cura, dell'attenzione alla persona e dell'acquisizione delle autonomie personali nonché sotto l’aspetto didattico gli educatori delle tante cooperative convenzionate con le scuole trentine sono in genere molto professionali, preparati ed attenti alle esigenze delle persone con handicap, ma certamente con questo atteggiamento sotto l'aspetto dell'inclusione le scuole non possono far altro che dichiarare il fallimento del proprio mandato sociale.
Quella che manca è la cosiddetta capacità di “fare rete”, la scuola è quasi sempre demotivata, passiva e rinunciataria in partenza non credendo nelle potenzialità del disabile e forse neanche in quelle della propria organizzazione per cui accetta, quasi subisce la presenza del disabile e della sua ostinata famiglia che continua a chiedere incessantemente Piani Educativi Individualizzati (L.104/92) e progetti astrusi nel tentativo di includere il proprio figlio disabile nella comunità sociale e restituirlo ad una vita adolescenziale il più normale e serena possibile.
Emblematico è il caso che è già difficile riunire due volte l’anno a scuola tutti gli attori coinvolti nella redazione e nella verifica di un PEI, che spesso invece di costituire l’atto d’indirizzo e coordinamento delle attività per il benessere e lo sviluppo del disabile finisce con l’essere un mero documento da mettere agli atti solo per essere in regola con la L.104/92.
Per concludere, considerando che dopo la scuola è necessario entrare nel mondo del lavoro e visto che nell’elenco degli Enti che rientrano nel welfare trentino ci sono anche gli uffici del lavoro, volendo dare uno sguardo al collocamento mirato delle persone con handicap ex L.68/99 non siamo affatto convinti che la facoltà data dal Jobs Act di Renzi alle aziende private di poter assumere con chiamata nominativa i disabili individuandoli personalmente dalle apposite liste protette sia la scelta giusta, perché in ciò intravediamo il forte rischio che le sole persone con disabilità più lieve saranno chiamate a lavorare, lasciando i restanti disabili con patologie più impattanti a rischio di emarginazione.
Auspichiamo che il tavolo tecnico raccolga le nostre riflessioni e si impegni a coinvolgere fortemente la scuola in un eventuale progetto che preveda l’inclusione dei disabili nel lavoro e nella comunità ai fini di valorizzarli come risorsa per la Trento del domani.
Il ruolo della scuola è centrale, fondamentale ed imprescindibile nella formazione dell’individuo, soltanto innestando tutti gli altri interventi socio-sanitari attorno ad una scuola che funzioni sul serio, ad una scuola che dovrà scuotersi dal torpore, recuperare la propria dignità, leadership ed assumersi le proprie responsabilità si potrà creare un nuovo paradigma per consentire alla generazione del domani normodotata e disabile, senza più distinzioni finalmente, di rispondere in maniera vincente alle sfide del futuro.
A cura di Mario Amendola
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