Trento
Venezia72. Voce del verbo Remember
Non è per vendetta e nemmeno per quel desiderio di fare e farsi giustizia. Lo spirito guida di Remember, infatti, veste i panni di un’ultima volontà che porti in pareggio il bilancio, per congedarsi dalla vita con l’unico sollievo possibile, quello di veder morire il responsabile dello sterminio della propria famiglia.
Non è per vendetta e nemmeno per quel desiderio di fare e farsi giustizia. Lo spirito guida di Remember, infatti, veste i panni di un’ultima volontà che porti in pareggio il bilancio, per congedarsi dalla vita con l’unico sollievo possibile, quello di veder morire il responsabile dello sterminio della propria famiglia.
Una storia che parte da lontano, quella portata in concorso a Venezia72 dal regista Atom Egoyan. Dalla notte del 9 novembre 1938, la notte dei cristalli, fino ai giorni nostri, agli ultimi giorni di un anziano ebreo che dopo l’orrore di Auschwitz ha trovato una vita oltreoceano, ma non la pace. Ma non la solita storia di Memoria, come il titolo vorrebbe farci credere.
Perché Zev Guttman (Christopher Plummer), di quelle atrocità subite e di quell’esistenza da reduce, non conserva ormai più alcun ricordo: la sua memoria, infatti, è ostaggio di una demenza senile che gli impone di ricominciare, da capo, ogni giorno e di appoggiarsi alla mente lucida di Max (Martin Landau), scampato anch’egli al lager ed oggi costretto a fare i conti con una paraplegia.
Sarà, quindi, Zev a mettere in atto il piano che Max ha disegnato, con una fuga dalla casa di riposo che condividono e seguendo le istruzioni (rigorosamente scritte) dell’amico, che dalla propria stanza seguirà passo passo l’anziano ramingo, senza varcare la soglia dell’ospizio.
Si mette in moto così, Remember. Con due gambe buone e una memoria a breve termine in viaggio verso il riscatto di due vite, anzi milioni di vite cancellate e mutilate. Ribadendo la necessità di documentare, registrare, scrivere e non dimenticare. Di non permettere alla storia e all’umanità di rimaneggiare e rimuovere, perché non c’è colpa peggiore della negazione per (codarda) difesa.
Parte proprio da qui questo road movie modellato sui ritmi claudicanti del novantenne Zev, alla ricerca della porta che lo condurrà (forse) fuori da una vita di afflizione, accompagnato dalle istruzioni per l’uso, sotto forma di lettera, dell’amico Max e una serie di incontri, a quattr’occhi, col dolore. Non senza errori e inconcludenti fatiche.
E una regia morbida, che preferisce starsene un passo indietro rispetto ad una storia già tanto ingombrante, con tanti delicati primissimi piani, per non perdersi nemmeno un’emozione. Il resto lo fa una sceneggiatura (Benjamin August) che si prende cura del tutto senza tralasciare anche il più piccolo particolare. Ma, soprattutto, gioca l’intera partita per preparare il campo ad un finale inatteso e spiazzante, come solo la verità sa essere.
Da vedere, per comprendere la differenza tra vendetta e riscatto.
Emanuela Macrì
Foto Riccardo Giuliani
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