Italia ed estero
Coppia dell’acido: Achille sarà dato in adozione
Può un magistrato decidere di separare un neonato dalla propria madre, senza neanche farglielo vedere?
Può un magistrato decidere di separare un neonato dalla propria madre, senza neanche farglielo vedere?
E’ questa la domanda che si sta ponendo l’opinione pubblica di fronte al caso del figlio di Martina Levato e Alexander Boettcher, condannati entrambi a 14 anni di reclusione per aver deturpato con l’acido il viso dell’ex di lei, Pietro Barbini.
La donna, infatti, nella notte tra venerdì e sabato, ha partorito un bambino, a cui la coppia vorrebbe dare il nome di Achille ma la Procura dei minori di Milano sta vagliando la possibilità dell’adottabilità (già deciso ieri sera dopo una estenuante camera di consiglio ) a persone estranee alla famiglia di Martina ( i nonni hanno manifestato la volontà a prendersene cura ). Il giudice, ieri sera, ha deciso per l’adottabilitàdel bambino, modificando quelle decisioni che sembravano certe, ovvero la mamma potrà vedere il bambino una volta al giorno in una struttura protetta (Icam) riservata alle mamme carcerate con bambini fino ai 6 anni di età, gli è stato vietato di allattare e non è escluso che anche i nonni possano prendere in adozione il bambino, certo è che si prospetta una battaglia legale non indifferente.
Fermo restando la condanna morale per quanto compiuto dai due, bisognerebbe riflettere sul perché un bambino che ha appena aperto gli occhi debba pagare le colpe dei propri genitori; e sul perché la giustizia debba perdere di vista il principio dell’umanità.
La madre, infatti, già pagherà il proprio errore con la prigione, perché dovere rendere la pena ancora più rigida senza neanche darle la possibilità di vedere il figlio? Abbiamo chiesto al CCDU ( Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani ) un commento sulla vicenda:
“Crediamo che questa sia una giornata nera per la giustizia minorile che in una visione adulto-centrica e in contrasto con le convenzioni internazionali sui diritti del fanciullo ha deciso di mandare il bambino in adozione negandogli il diritto di crescere ed essere educato nella sua famiglia.
Certamente la nostra valutazione è limitata alle informazioni della stampa e la sofferta e delicata decisione del tribunale si fonda su informazioni ed elementi a noi sconosciuti, ma non possiamo esimerci dal denunciare che la discussione stessa sull’affidamento del bambino dimostra come la società e gli stessi operatori della giustizia minorile siano tuttora lontani dagli avanzamenti ormai consolidati nel campo dei diritti dei bambini.
La dichiarazione di New York dei diritti del fanciullo infatti risale al 1989 ma ancora non è entrata a far parte della cultura generale, specificamente, a nostro avviso per l’opera di certi psichiatri e psicologi che sostengono a spada tratta delle teorie invasive dello Stato sulla famiglia.”
Per di più, un bambino non dovrebbe mai essere considerato come un “pacco postale” da spedire a chicchessia: è una vita e dovrebbe essere sempre preferibile il legame di sangue, quando ci sono gli elementi per l’adottabilità. Insomma, meglio che cresca con i nonni che con una coppia estranea.
Il principio in questo caso dovrebbe essere “semplice”: Martina e Alexander (qualora questo dovesse riconoscere il figlio) un giorno usciranno da prigione, dopo aver pagato il proprio conto alla giustizia per la brutalità commessa. E allora avranno il diritto, come genitori, di stare accanto al proprio figlio, in quanto la lontananza da Achille non dovrebbe far parte della sentenza afflittiva.
Anche perché ricorderete senza dubbio il delitto di Cogne. Proprio nell’aprile scorso è stato deciso che Annamaria Franzoni, condannata a 16 anni per l’omicidio del piccolo Samuele, possa continuare a scontare la sua pena a casa sua per accudire il proprio figlio.
Ora, perché la Franzoni, nonostante quello che ha fatto, può stare accanto a suo figlio e un giorno Martina non potrà fare altrettanto con Achille?
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