Italia ed estero
Donald Trump, l’antipolitica alla conquista degli Stati Uniti
Sembra una commedia. Anzi, una tragedia. Donald Trump, celebre, stravagante e discusso imprenditore statunitense resta saldamente in testa ai sondaggi dopo il primo dibattito televisivo tra i candidati repubblicani, con il 24% delle preferenze.

Sembra una commedia. Anzi, una tragedia. Donald Trump, celebre, stravagante e discusso imprenditore statunitense resta saldamente in testa ai sondaggi dopo il primo dibattito televisivo tra i candidati repubblicani, con il 24% delle preferenze.
Sessantanove anni, tre mogli e cinque figli, Trump ha ereditato dal padre l’attività nel settore edile, diventando uno degli imprenditori più ricchi d’America. La sua fama la deve, però, a The Apprentice, il talent show della Nbc per giovani aspiranti manager, in cui ha interpretato il ruolo di boss incaricato di individuare il concorrente con le doti manageriali migliori.
Da quando in giugno ha annunciato la sua candidatura alle primarie repubblicane, il magnate americano ha seminato il panico tra gli altri sedici sfidanti conquistando contro ogni aspettativa la testa dei sondaggi. Il suo tratto distintivo? Un brutale populismo. Tra le dichiarazioni delle ultime settimane: “La pigrizia è un tratto caratteristico dei neri”; “Il Messico non ci manda i migliori, spedisce da noi drogati, criminali, stupratori”; “Il senatore McCain non è un eroe di guerra. Si può chiamare eroe qualcuno che è stato catturato? A me piacciono quelli che non si fanno catturare”; “L’unica differenza tra me e gli altri candidati è che io sono più onesto e le mie donne più belle”.
Trump è un prodotto dell’informazione-spettacolo, deve il suo successo alla confluenza tra mezzi di comunicazione, intrattenimento e politica. Ne ha dato l’ennesima prova durante il dibattito tra i candidati alla nomination repubblicana, organizzato dal canale televisivo Fox News e da Facebook il 6 agosto scorso. Messo sotto torchio dalla moderatrice Megyn Kelly per aver definito alcune donne “grassi maiali”, “cani” e “animali disgustosi”, Trump ha impunemente aggirato la domanda della giornalista, sostenendo che né lui né gli Stati Uniti hanno tempo da perdere con il politicamente corretto. Nella gestualità, ancor più che nelle parole, ha dimostrato di essere perfettamente a suo agio davanti alle telecamere.
La stampa americana non ha potuto fare a meno di notare le molteplici somiglianze con l’ex presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi. Entrambi, infatti, hanno cominciato la loro attività imprenditoriale nel campo dell’edilizia ed entrambi hanno saputo sfruttare il potenziale del piccolo schermo per infiltrarsi nell’immaginario della gente. Entrambi sono onnipresenti: nel caso di Trump, il suo marchio non è impresso solo sui grattacieli che ha fatto costruire, ma anche su casinò, materassi, vestiti e profumi. Inoltre, il magnate americano è anche sponsor di Miss America a Miss Universo.
Sia l’ex Cavaliere che il palazzinaro di New York sono abili come pochi a fare dei propri vizi virtù. Ecco che allora le gaffes si trasformano in schiettezza, gli insulti in autenticità e la presunzione in saggezza. Le somiglianze tra i due non finiscono qui. Con la sua retorica contro la politica e i partiti, tacciati di immobilismo, inettitudine e corruzione, Trump si impone come vero paladino dell’antipolitica, così come lo fu Berlusconi a tempi della sua “discesa in campo”.
Ma Donald Trump è anche molto di più. Nei suoi discorsi si ritrova un mix di nazionalismo e populismo che tanto somiglia a quello dei vari Syriza, Podemos, Front National, Ukip e Movimento Cinque Stelle, che hanno sconvolto la scena politica europea, mettendo in discussione la tradizionale alternanza tra centro-destra e centro-sinistra.
In tal senso, Trump è solo apparentemente una creatura degenerata del suo partito. La sua xenofobia, la sua rabbia e la sua idea della supremazia americana non sono solo sentimenti che i repubblicani hanno incoraggiato in questi anni, ma sono soprattutto gli effetti collaterali di un cinismo dilagante che si è impossessato della società americana, da tempo stufa dei cattivi esempi offerti dalla politica.
Per comprendere il successo del magnate americano, non bisogna concentrarsi troppo sul fatto che corra con i repubblicani. Lo ha detto lui stesso: se non riuscirà ad affermarsi alla guida del partito, vaglierà la possibilità di presentarsi alle elezioni come candidato indipendente. Sarebbe una scelta del tutto logica: Trump è una creatura che trascende i partiti, il sintomo di una patologia eversiva che non ha colpito solo la base repubblicana, l’emblema di una politica svuotata dagli ideali e schiava degli umori della società.
Anche se per lui la conquista della nomination repubblicana continua a rimanere un miraggio, c’è il rischio concreto che Trump condizioni irrimediabilmente la campagna elettorale americana, obbligando i suoi avversari a rincorrerlo sul terreno della politica che preme sulla rabbia e sulle paure.
Sarebbe un errore fatale. Lo spauracchio Trump si combatte indicando la strada per un futuro migliore. Gli Stati Uniti hanno bisogno di eroi, non di mostri.
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