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Good Bye, Khomeini! La rivoluzione iraniana dopo l’accordo sul nucleare
"L'accordo sul nucleare impedirà davvero all'Iran di costruire la bomba atomica?", si chiedono tutti dopo la storica intesa del 14 luglio scorso. Si tratta di una domanda mal posta. Il vero nodo della questione è: riuscirà Teheran a rompere con l'eredità della rivoluzione e a diventare un paese moderno e responsabile?

“L’accordo sul nucleare impedirà davvero all’Iran di costruire la bomba atomica?“, si chiedono tutti dopo la storica intesa del 14 luglio scorso. Si tratta di una domanda mal posta. Il vero nodo della questione è: riuscirà Teheran a rompere con l’eredità della rivoluzione e a diventare un paese moderno e responsabile?
È dal 1979 che l’Iran costituisce una vera e propria spina nel fianco per la comunità internazionale. In quell’anno, l’ayatollah Ruhollah Khomeini tornò trionfante dal suo esilio a Parigi. Il regime dello scià Mohammad Reza Pahlavi, amico degli Stati Uniti e riformatore dell’Islam iraniano, era ormai finito.
L’ayatollah e il clero sciita s’impossessarono rapidamente del potere politico e dimostrarono subito che la loro rivoluzione non era figlia della Rivoluzione francese del 1789, ma era piuttosto una controrivoluzione, che avrebbe spazzato via 200 anni di modernizzazione con l’introduzione di un Islam severo e invadente.
In poco tempo, Khomeini impose l’applicazione letterale della sharia, la legge islamica. Le bevande alcoliche furono proibite, la case da gioco vennero chiuse, la prostituzione bandita, gli omosessuali perseguitati a morte e le donne vennero obbligate a indossare il velo islamico. Da allora, la polizia religiosa pattuglia le strade della capitale a caccia di coloro che trasgrediscono le regole relative al corretto comportamento nei luoghi pubblici e all’abbigliamento.
Dopo la rivoluzione, l’Iran si è mosso sulla scena internazionale come un vero e proprio “stato canaglia“. Teheran continua imperterrita a finanziare Hezbollah in Libano, a sostenere gli sciiti nella lotta contro i sunniti in Iraq, Bahrein e Yemen, a supportare le fazioni palestinesi in guerra con Israele e ad aiutare il regime di Bashar Assad in Siria. Molti politici iraniani continuano a negare l’Olocausto e l’esistenza di Israele.
Tuttavia, l’euforia del 1979 è completamente svanita. La società tradizionale sognata dai padri della rivoluzione è sempre più lontana da quella in cui vivono i loro figli e nipoti. L’influenza occidentale è dappertutto: nei beni di consumo, negli ideali di bellezza, nei giochi per il computer e, soprattutto, nelle strade e nelle altre infrastrutture, che, a detta di Jack Straw, ex-ministro degli esteri britannico, “hanno reso Teheran più simile a Madrid o ad Atene di quanto non lo siano Mumbai o il Cairo“.
Durante gli otto anni di presidenza del controverso Mahmoud Ahmadinejad, terminata nel 2013, la povertà si è ridotta e la classe media è cresciuta. L’aumento del benessere ha dato vita ad un’ossessione per la tecnologia, per Facebook e per gli altri social network. E poco conta se molti contenuti su internet sono censurati dal governo: molti iraniani aggirano la censura attraverso applicazioni che creano VPN (reti private virtuali), che consentono a un computer o a un dispositivo connesso di comportarsi come se fosse in un altro paese, eliminando i blocchi governativi.
I livelli di educazione, poi, sono comparabili a quelli dei paesi occidentali. Nel 2013, il 58% dei giovani iraniani ha frequentato l’università. Inoltre, per i figli dell’élite iraniana, l’educazione occidentale è tutt’altro che proibita: il governo iraniano ha, infatti, più membri con un dottorato conseguito negli Stati Uniti che lo stesso governo americano. Il presidente, Hassan Rohani, ha studiato in Scozia.
L’Iran è incastrato tra passato e futuro: esempio paradigmatico è il velo delle donne, che indietreggia sempre di più ma che, se tolto, può costare l’arresto da parte della polizia religiosa.
Come sostiene il presidente Rohani, l’accordo nucleare potrebbe essere la chiave per risolvere gli altri problemi del paese. Se Teheran si impegnerà a rispettare i termini dell’accordo, le sanzioni economiche verranno cancellate, con un conseguente impatto positivo sull’economia iraniana. Rohani, forte del consenso derivante dal ritrovato benessere economico, avrà allora l’occasione per spingere sulle riforme sociali, promesse in campagna elettorale e fino ad ora non realizzate.
Benché membro dell’establishment iraniano, Rohani ha ammesso, infatti, che il Paese deve cambiare rotta, anche promuovendo le libertà individuali, la libertà della donna e la tolleranza verso le minoranze. Fumo negli occhi per la Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, e la sua temuta milizia, i Guardiani della rivoluzione, noti anche come pasdaran, che percepiscono come minaccia alla sicurezza nazionale perfino la partecipazione di una ragazza ad un evento sportivo.
È dal loro controllo ossessivo che l’Iran dovrà liberarsi per diventare un paese moderno e responsabile. Si tratta di una sfida difficile, ma non impossibile. “Morte all’America“, il ritornello dei mullah, non funziona più. L’Iran ha ormai una robusta classe media che non vede l’ora di fare affari con l’America (il “grande Satana americano”, così la definiva Khomeini) e tutto l’Occidente. Una classe media che ha tutte le carte in regola per liberare il Paese dall’abbraccio mortale della (contro)rivoluzione di Khomeini.
Ogni rivoluzione per sopravvivere ha bisogno di un nemico. L’Iran ha appena stretto la mano al suo.
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