Italia ed estero
L’Egitto condanna a morte la democrazia
Sabato mattina l'ex presidente egiziano Mohammed Morsi e circa altri 100 membri della Fratellanza Musulmana sono stati condannati a morte per essere evasi dalla prigione di Wadi el Natrun il 28 gennaio del 2011, tre giorni dopo l'inizio della rivoluzione che in febbraio portò alla caduta di Hosni Mubarak.

Sabato mattina l’ex presidente egiziano Mohammed Morsi e circa altri 100 membri della Fratellanza Musulmana sono stati condannati a morte per essere evasi dalla prigione di Wadi el Natrun il 28 gennaio del 2011, tre giorni dopo l’inizio della rivoluzione che in febbraio portò alla caduta di Hosni Mubarak.
Morsi è il primo e, fino ad ora, unico capo di stato egiziano eletto democraticamente. Candidato della Fratellanza Musulmana, venne scelto dal popolo egiziano per sostituire Hosni Mubarak, l’anziano tiranno deposto in seguito alle violente proteste del febbraio 2011. Da presidente, Morsi non ebbe mai vita facile: le prime dimostrazioni di massa contro di lui cominciarono poche settimane dopo la sua elezione e continuarono ininterrottamente fino al luglio 2013, quando venne deposto da un colpo di stato militare e rimpiazzato dal generale Abdel Fattah al-Sisi.
Per Morsi quella di sabato non è la prima condanna. L’ex presidente egiziano è già stato condannato a 20 anni di prigione per la morte di manifestanti che protestavano contro un suo decreto nel dicembre 2012. Quello che accadde esattamente in quei giorni è ancora poco chiaro: si sa solo che sia i filo-governativi che i manifestanti persero il controllo della situazione e che le forze di sicurezza non intervennero.
Di fronte a uno scenario così incerto, il comportamento della giustizia egiziana lascia alquanto sbigottiti. Da un lato, viene chiuso un occhio sugli errori dei manifestanti anti-Morsi, dall’altro Morsi e l’intera Fratellanza Musulmana sono messi alla gogna, con l’intento malcelato di criminalizzare l’intera organizzazione. Ma Morsi e il suo partito non sono le uniche vittime dell’ “ultimo faraone” Abdel Fattah al-Sisi: molte organizzazioni della società civile sono state messe al bando, la stampa è imbavagliata, alcuni giornalisti sono finiti in prigione. La persecuzione del generale non risparmia neanche coloro che lo sostennero durante il colpo di stato del 2013.
La dittatura di al-Sisi è per certi versi peggiore di quella del ex-rais Hosni Mubarak. Come in Siria e in Libia, anche se in modo completamente diverso, la Primavera araba in Egitto ha portato a una vera e propria regressione. È vero che molti egiziani erano preoccupati dalla direzione che il paese stava prendendo con Morsi ed è anche vero che la Fratellanza Musulmana non godeva del sostegno di tutta la popolazione. Tuttavia, rimane il fatto che un governo democraticamente eletto è stato rovesciato con la forza.
E poco conta se gli Stati Uniti e gli altri Paesi occidentali alzano la voce di fronte alle violazioni dei diritti umani: gli aiuti militari americani continuano ad arrivare indisturbati e l’Egitto continua a essere un alleato chiave nella lotta contro lo stato islamico e contro i ribelli Houti in Yemen. La verità è che gli occidentali non hanno voglia di chiamare un colpo di stato con il suo nome e hanno anteposto, per l’ennesima volta, considerazioni di realpolitik alla promozione e al sostegno della democrazia nel mondo.
Per Morsi e i Fratelli Musulmani resta solo una flebile speranza. Il verdetto del processo, appellabile, sarà reso il 2 giugno, dopo il pronunciamento, segreto e non vincolante, del Gran Muftì, la massima autorità religiosa egiziana. A rischiare la vita non è solo l’ex presidente: anche Mohammed Badie, Guida generale della Fratellanza, è stato condannato alla pena capitale. Inoltre, il governo egiziano considera ormai l’intera organizzazione come un gruppo terroristico fuori legge.
Morsi, Badie e gli altri condannati rappresentano solo le vittime più evidenti di questa persecuzione legalizzata. Tuttavia, se la loro condanna sarà confermata, a morire sarà anche quel poco che resta della democrazia egiziana. Si tratterebbe di uno scenario terribile, che avrebbe pesanti ripercussioni non solo in Egitto ma in tutto il Medio Oriente.
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