Italia ed estero
Al Vertice delle Americhe un’unica e grande certezza: la sconfitta degli USA
Mentre il presidente statunitense è impegnato a stringere la mano a Castro per suggellare il disgelo tra Stati Uniti e Cuba, dall’America Latina si alza nuovamente un monito nei confronti della superpotenza americana.
Mentre il presidente statunitense è impegnato a stringere la mano a Castro per suggellare il disgelo tra Stati Uniti e Cuba, dall’America Latina si alza nuovamente un monito nei confronti della superpotenza americana.
La scorsa settimana si è svolto a Panama il settimo Vertice delle Americhe il cui obiettivo principale è stato quello di rinsaldare i legami di cooperazione tra tutti gli stati del continente americano, da Nord a Sud, nessuno escluso, nemmeno Cuba.
E la stretta di mano tra Obama e Raul Castro rimarrà per molti anni alla storia come il simbolo per eccellenza del processo di disgelo avviato dopo mezzo secolo di embargo e interruzione di ogni tipo di relazione ufficiale tra i due Paesi.
E davanti all’immensa sacralità che aleggia intorno alla ripresa dei rapporti tra Cuba e Stati Uniti, è passato del tutto inosservato il malcontento espresso dai Paesi dell’America Latina nei confronti dell’atteggiamento della superpotenza americana nei confronti degli stati del Sud del continente.
A dare sfogo al sentimento di critica che accomuna i più grandi Paesi latino-americani è stato il presidente boliviano Evo Morales che, parlando del presidente statunitense ha detto: “Obama smetta di trasformare il mondo in un campo di battaglia”.
Sono dunque finiti quei tempi nei quali gli Stati Uniti potevano contare sull’appoggio, o forse è meglio dire sull’assenso, dei Paesi sudamericani che hanno colto al volo l’occasione del Vertice di Panama per mostrare alla superpotenza americana che loro non ci stanno più.
“Questa regione ha cessato di essere obbediente, disciplinata, inchinata e sottomessa. Oggi abbiamo un continente che vuole costruire la propria auto-determinazione”, ha continuato il Presidente boliviano Morales.
Parole dure e forti che risuonano come una critica pesante nei confronti dell’indiscusso leader mondiale che sono gli Stati Uniti e che vengono accusati di aver portato negli ultimi decenni nel continente sudamericano solo guerre e dittature.
Non è mancato il riferimento alla spiacevole situazione che si è creata tra gli Stati Uniti e il Venezuela, definito dai primi la grande minaccia alla sicurezza americana. Ad essere perplessi sull’atteggiamento assunto dagli USA nei confronti del Venezuela sono soprattutto i Paesi più moderati della regione che reputano rischioso l’inasprimento dei toni da parte del governo statunitense.
E la sottosegretaria di Stato per l’America latina, Roberta Jacobson, ha commentato così le critiche avanzate, non solo da Morales, ma da diversi capi di stato dei Paesi del Sudamerica: “Il tono che usano i leader latinoamericani demonizza gli USA trattandoci come se fossimo noi i responsabili dei problemi del Venezuela”.
Il timore principale, espresso dal presidente boliviano, è quello di vedersi di nuovo imporre dagli Stati Uniti, politiche che gli Stati sudamericani non condividono dietro il pretesto della lotta al terrorismo internazionale.
Le parole usate da Morales sono state dure, forse fin troppo severe, ma estremamente chiare. L’America Latina ha smesso di essere il cortile della superpotenza mondiale. Non accetterà più passivamente cosa gli Stati Uniti vorranno imporre a proprio beneficio.
Il Vertice di Panama, seppur avviato sotto gli auspici di una più stretta collaborazione tra i Paesi del continente americano, ha così affermato un’unica rivoluzionaria certezza: la definitiva sconfitta della politica statunitense in America Latina.
E Obama avrà molto da riflettere sulle successive mosse da compiere e su quanto di più rivoluzionario un presidente avrebbe potuto mai affermare: “Viviamo in pace e accogliamo con favore il dialogo, che è meno costoso di vivere in guerra perpetua”.
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