Trento
Denkmal fur die ermodeten juden – Peter Eisenman – Berlino 1997/2005)
Un intero isolato, blocchi rettangolari di cemento grigio, da un metro per dueecinquanta, ritagliati da lunghi e stretti corridoi ortogonali. In totale duemilasettecentoundici.
Un intero isolato, blocchi rettangolari di cemento grigio, da un metro per dueecinquanta, ritagliati da lunghi e stretti corridoi ortogonali. In totale duemilasettecentoundici.
La vibrazione delle superfici fa scorrere lo sguardo come fossero infinite punte di un cristallo, fino a fermarsi lì dove inizia la città, spaziosa, pulita, elegante, nuova, con tanto vetro per captare la luce nordica.
Blocchi che emergono dalla terra ordinati, di altezza differente che dà un effetto di crescita, unico elemento vitale su un terreno leggermente ondulato e assieme ad essi riaffiora il ricordo, con insistenza. Vite interrotte di bambini, giovani, anziani, importanti, meno importanti, ma sempre uguali. Tante tombe, mute, anonime. Ti devi ricordare. E’ triste. Un plastico della città dei morti. Monocromo, monotono, il grigio non suona, ma fa pensare. Solo il pensiero può salvare l’uomo, perchè “Il sonno della ragione genera mostri” aveva inciso Goya.
La città dei morti si può attraversare, sopra e sotto, nascondersi, giocare, perdersi come in un labirinto, entrare dentro e fare l’esperienza di uno spazio che non risponde, non può rispondere perché è stato tagliato, stroncato sul nascere.
“Gli 800mq del Centro Informazioni sotterraneo sono il complemento all’opera monumentale. Qui è raccolta documentazione riguardante persone e famiglie vittime dell’olocausto – con testimonianze autentiche – e dati che permettono di comprendere meglio la vastità del genocidio, non solo in Germania ma in tutta Europa.
Il Centro vuole rappresentare un punto di riferimento centrale per tutti i luoghi della memoria che si trovano sul territorio tedesco, come ad esempio l’iniziativa degli Stolpersteine (letteralmente “pietre per inciampare”): targhe commemorative d’ottone poste sul selciato di fronte alle case che furono l’ultimo domicilio degli ebrei deportati.” (www.berlin.de– Denkmal)
Mentre cammini per la città puoi trovare la traccia del muro, grigio, cieco, nonostante qualche tratto mantenuto in piedi a memoria e dipinto, disegnato, come ad indicare il recupero dell'uomo e la catarsi di qualcosa di incomprensibile. E’ triste anche il posto di guardia al Check point Charlie.
A Berlino sono molti i luoghi che ricordano e documentano la tragica storia del XX secolo: l’ascesa al potere di Hitler e la follia delle SS e della Gestapo, l’assurdità del muro e vittime, sempre vittime. Anche gli edifici nuovi, che sono sorti sulle macerie dei bombardamenti, sono puliti ed eleganti, ma, nonostante la vivacità delle vetrine del centro, non riescono a metterti allegria, euforia. E’ necessario ricordare, pensare, non dimenticare.
Qui un pannello con le foto in bianco e nero e la didascalia con le date: 1933, 1939, 1940, 1961, 1989. Lì i resti del muro, una scultura, una traccia nella pavimentazione, una fontana, uno specchio d’acqua… sempre a ricordare la miseria dell’uomo quando perde la ragione, quando si perde perché ha perso la ragione.
nella foto DENKMAL FUR DIE ERMODETEN JUDEN – PETER EISENMAN – BERLINO (vicino alla porta di Brandeburgo)
La gente cammina tranquilla, frettolosa o in bicicletta. Il movimento delle persone dà l’idea della città europea del terzo millennio con frequenti e veloci interscambi, tollerante e sicura delle decisioni prese altrove, quasi da un’entità esterna ed oggettiva alla quale tutti devono adeguarsi.
La pavimentazione delle strade è ordinata e pulita. Alzando lo sguardo si vedono ancora molte gru. Gli edifici scorrono ai lati nella loro precisione tecnologica come in un libro di architettura contemporanea.
Tra essi risalta ogni tanto qualche edificio neoclassico con timpano e metope che escono dalla superficie, colonne doriche ioniche o corinzie nel perfetto stile della Grecia classica. La sicurezza della contemporaneità, ma anche la preoccupazione che il funesto passato possa tornare. La coscienza della necessità di impiegare, investire, energie per mantenere la pace e l’equilibrio nella società contemporanea.
La morte crea il deserto. Il deserto è una cosa forte, monolitica, simbolica. Eisenman, di fronte allo sterminio degli ebrei, ha lo stesso atteggiamento di Burri quando interviene a Gibellina in seguito al terremoto, che sottolinea, con una colata di cemento, l’azzeramento avvenuto con gli scossoni della terra, cancellare e ricordare contemporaneamente. Eisenman ricorda lo scossone della natura umana, della ragione, fatto con ritmo, intenzione, perversione… Non ci sono decorazioni che cerchino di addolcire il dramma.
Gli elementi del linguaggio lasciano a ciascuno residui differenti. Fino a quando, questi blocchi riusciranno a parlare, a rievocare, ad essere monito, a portare significato? A rimanere blocchi di memoria o diventeranno pietre vuote?
Mentre ascoltiamo le notizie alla televisione o alla radio, ovattate, un po’ distratti, scacciamo subito il sospetto che da qualche parte nel mondo, da molte parti contemporaneamente, vengano praticati gli stessi atroci soprusi, torture, schiavizzazioni, annichilimenti dei più deboli da parte dei più forti del momento. Immagini impossibili, disumane, degli uomini, che cerchiamo subito di cestinare con un gesto che ci è consueto nel nostro mondo usa e getta.
Ma questa linfa dobbiamo assimilarla, strutturarla dentro di noi a modifica dei comportamenti quotidiani, per reggere un equilibrio sempre instabile all’interno dei limiti della libertà umana. Anche qui il limite, l’uomo, se l’è dato, ma troppo spesso lo ha saltato.
Incapacità? Volontà negativa? Difetto congenito? Bassa soddisfazione? Sorpassare il limite è possibile, ma spesso è un maledetto “difetto” che sta dentro il potere, di qualsiasi colore si ammanti. La diffusione, la generalizzazione, lo rende plausibile?
nella foto del titolo i blocchi dove i bambini giocano saltando
(www.carlosevegnani.it)
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