Italia ed estero
Figli di un dio minore: i giovani musulmani nella Francia delle discriminazioni
Dopo la tragedia di Charlie Hebdo, la Francia si è risvegliata con il giardino pieno di serpi. I fratelli Cherif e Said Kouachi e Amedy Coulibaly non erano soli nel loro delirio jihadista. Come loro, circa 1.000 cittadini francesi sarebbero andati in Siria per combattere con lo Stato islamico, riferiscono i media transalpini. Un record in Europa. Il segno indelebile di una folle disperazione.

Dopo la tragedia di Charlie Hebdo, la Francia si è risvegliata con il giardino pieno di serpi. I fratelli Cherif e Said Kouachi e Amedy Coulibaly non erano soli nel loro delirio jihadista. Come loro, circa 1.000 cittadini francesi sarebbero andati in Siria per combattere con lo Stato islamico, riferiscono i media transalpini. Un record in Europa. Il segno indelebile di una folle disperazione.
Incompresi. Così si sentono i giovani musulmani di Francia. Incompresi dai genitori, arrivati in Europa per sfuggire dalla fame e incapaci di capire la furia con cui i figli si rivoltano contro quella che per loro è stata la “terra promessa”. Incompresi dalla società, che li ha marginalizzati, infrangendo uno a uno i sogni con cui erano cresciuti.
I giovani musulmani francesi sono, per molti sensi, più simili a noi che ai loro genitori. Non si accontentano dell’acqua calda o di un pezzo di pane. Come noi, sono cresciuti in una realtà fatta di consumi e aspirazioni. Sono anche loro “figli del capitalismo”. Figli poveri, s’intende, collezionisti di delusioni.
Dopo che la crisi economica ha colpito la Francia, il 10% della popolazione è disoccupato. A farne le spese maggiori è la comunità islamica, dove il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 20%. Per i giovani musulmani la situazione è ancora peggiore: uno su quattro è senza lavoro.
Quella della comunità musulmana è una marginalizzazione che si riscontra anche guardando alla situazione nelle carceri. Benché non esistano statistiche ufficiali sulla religione dei detenuti, secondo vari ricercatori, la metà di loro è musulmana. Si tratta di cifre significative, soprattutto se si tiene conto che solo il 10% della popolazione è di fede islamica.
Patrick Weil, storico e politologo, riconosce che la maggior parte dei giovani musulmani sono emarginati: “Devono confrontarsi con un contesto socio-economico difficile e anche superare una seria discriminazione. Così diventa molto più complicato avere successo”.
Questa marginalizzazione ha lacerato il paese. Mentre la classe media arranca per conservare il proprio status economico, i poveri, perlopiù musulmani, sprofondano nella miseria. E più il baratro si allarga, più gli stereotipi nei confronti della comunità islamica si sedimentano, rendendo ai giovani musulmani ancora più difficile trovare la propria strada.
“Insieme alla discriminazione è aumentato il radicalismo… Si tratta di un circolo vizioso”, sentenzia Dounia Bouzar, antropologa francese responsabile di un programma che si occupa di reinserire nella società gli aspiranti jihadisti.
Va poi notata l’importanza che internet ha giocato nella campagna di reclutamento dello Stato islamico. La rete offre infatti agli jihadisti uno strumento utilissimo per adescare coloro che, sentendosi rifiutati dal loro paese, hanno scelto di cavalcare la frustrazione e rifugiarsi nell’estremismo religioso, rompendo con i valori della loro famiglia e della loro società.
Al primo ministro francese, Manuel Valls, non è sfuggito il potenziale distruttivo delle divisioni che attraversano la società transalpina. Martedì, nel tradizionale discorso di inizio anno per i media, ha tuonato: “In Francia esiste un apartheid etnico, sociale e territoriale”.
Il premier francese ha poi proseguito condannando “la miseria sociale alla quale si aggiungono le discriminazioni quotidiane perché non si ha il cognome giusto, o il giusto colore della pelle, o perché si è donna”. E ha concluso: “Non è una questione di cercare delle scuse, ma dobbiamo anche guardare alla realtà del nostro paese”.
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