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La regina della tortura: rivelazioni scioccanti sulla donna che scovò Bin Laden
“Se vogliamo trovare Bin Laden dobbiamo trovare e seguire chi gli porta i messaggi”, insisteva la giovane agente della Cia. Quest'intuizione, inizialmente scartata dai vertici dell'agenzia, condusse i servizi segreti americani fino ad Abbottabad in Pakistan, dove si nascondeva “il principe del terrore”.

“Se vogliamo trovare Bin Laden dobbiamo trovare e seguire chi gli porta i messaggi”, insisteva la giovane agente della Cia. Quest’intuizione, inizialmente scartata dai vertici dell’agenzia, condusse i servizi segreti americani fino ad Abbottabad in Pakistan, dove si nascondeva “il principe del terrore”.
Si racconta che la giovane agente abbia gustato la vittoria fino in fondo, riuscendo a vedere il corpo senza vita della “preda”. Una “preda” inseguita per dieci anni. In seguito a questo successo, la giovane venne insignita della “Distinguished Intelligence Medal”, la massima onorificenza per i servizi segreti americani. La sua storia è stata poi celebrata dal film “Zero Dark Thirty”, di Kathryn Bigelow, dedicato al blitz contro Bin Laden.
Fino ad oggi, era stato mantenuto il massimo riserbo sulla sua identità. Venerdì, però, il giornalista investigativo statunitense Gleen Greenwald ne ha rivelato il nome sul proprio sito, The Intercept. Il numero due dell’unità speciale incaricata della cattura di Bin Laden, la cosiddetta “Alec Station”, si chiamerebbe in realtà Alfreda Frances Bikowsky e avrebbe 49 anni.
Su di lei, senza citarne il nome, sono state diffuse negli ultimi anni una serie di informazioni che ne hanno offuscato l’immagine di eroina. Secondo il Washington Post, la Bikowsky non avrebbe per nulla gradito che la medaglia di merito per la cattura di Bin Laden fosse stata assegnata anche ad altri suoi compagni.
Avrebbe allora scritto in un’email ai suoi colleghi: “Voi mi avete ostacolato e osteggiato. Solo io meritavo quel premio”. Un gesto che non piacque per nulla ai vertici della Cia. Il Washington Post svelò infatti che, in seguito all’email di sfogo, la promozione di Bikowsky venne bloccata.
Dal contenuto decisamente più incandescente sono invece le recenti rivelazioni della Nbc e del New Yorker, che l’hanno definita “la regina della tortura”, senza però mai citarne il nome. Bikowsky sarebbe colpevole, come tanti altri suoi colleghi, di aver autorizzato metodi brutali per estorcere le confessioni ai prigionieri di Guantanamo e di altri centri di detenzione.
Più in particolare, Bikowsky avrebbe autorizzato il ricorso al waterboarding, alla privazione del sonno e ad altre forme di violenza contro i detenuti. Tutte tecniche finite al centro delle polemiche dopo il rapporto della Commissione di vigilanza del Senato americano sull’operato dei servizi segreti.
Inoltre, pare che l’agente fosse presente durante la tortura di Khaled Sheik Mohammed, il terrorista pachistano accusato di essere uno dei principali ideatori degli attacchi dell’11 settembre, e del saudita Abu Zubeyda.
Sempre secondo il Washington Post, Bikowsky avrebbe poi giocato un ruolo chiave nello “scandalo El-Masri”. Khaled El-Marsi, cittadino tedesco, venne catturato dalla Cia mentre si trovava in Macedonia e poi torturato in Afghanistan. Venne rilasciato solo nel 2003, quando la sua estraneità all’attività di Al-Qaida venne definitivamente appurata.
I problemi maggiori per Bikowsky sarebbero però altri: avrebbe mentito al Congresso. A tal riguardo, assicurò che i metodi d’interrogatorio utilizzati dalla Cia permisero di salvare la vita a centinaia di persone. Si tratta di conclusioni ben diverse da quelle della Commissione del Senato.
C’è già chi chiede la sua testa, domandando che venga processata per essersi lasciata prendere la mano mentre interrogava i terroristi islamici. Altri invece la considerano un’eroina. Avrebbe infatti aiutato il paese a difendersi da una minaccia non ancora del tutto sventata.
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