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Gerusalemme est: quanto è odiosa le legge del taglione
“È necessario un deterrente per fermare il prossimo attentatore suicida… Quando saprà che la sua casa, la casa in cui vive la sua famiglia, verrà demolita, sicuramente sarà scoraggiato dal perseguire il suo obbiettivo”.

“È necessario un deterrente per fermare il prossimo attentatore suicida… Quando saprà che la sua casa, la casa in cui vive la sua famiglia, verrà demolita, sicuramente sarà scoraggiato dal perseguire il suo obbiettivo”.
Queste le parole con cui il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha giustificato martedì notte, in una conferenza televisiva, la decisione di distruggere le abitazioni dei terroristi arabi che stanno seminando il panico in Israele.
Nella notte l’esercito israeliano è entrato nel quartiere arabo di Silwan, a Gerusalemme, e ha demolito la casa del palestinese Abdel Rahman al-Shaludi. Questo si era reso responsabile di un attacco con l’auto ad alta velocità, in cui morirono il mese scorso una bambina di tre mesi e una donna di ventidue anni.
La stessa sorte toccherà a breve alle case di altri terroristi, compresa quella dei cugini Oday e Ghannan Abu Jamal, autori della strage nella sinagoga di ieri, che ha fatto un totale di cinque vittime.
Dopo aver ricevuto l’ordine di demolizione, le famiglie avranno 48 ore per presentare le loro obiezioni alle forze armate israeliane, e altre 48 ore per fare appello alla corte suprema di Israele. Ma fino ad ora, la corte ha sempre autorizzato questo tipo di intervento.
“Questa non è solo una punizione collettiva, è un’azione che invoca una reazione violenta”, grida Inas al-Shaludi, madre dell’attentatore criminale, dopo aver assistito alla distruzione della sua casa. Gli fa eco lo zio, Talaat al-Shaludi: “Finché non saremo sicuri, non saranno al sicuro nemmeno loro”.
Anche nella comunità ebraica c’è chi mostra perplessità di fronte a questa iniziativa. “Tali azioni saranno seguite da un desiderio di vendetta”, fa notare Alon Evyatar, colonnello a riposo dell’esercito israeliano, intervistato da un emittente radiotelevisiva.
Durante la seconda intifada, cioè la rivolta palestinese negli anni 2000-2005, Israele distrusse per ritorsione ben 675 appartamenti, condannando più di 4.000 persone a rimanere senza tetto. Un numero che cresce in maniera esorbitante se si comincia a contare dal lontano 1967, anno in cui Israele assunse il controllo della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Da allora, un totale di 2.500 abitazioni sono state demolite in segno di punizione.
Un’azione peraltro contraria alle Convenzioni di Ginevra, che vietano alla potenza occupante di distruggere le proprietà della popolazione occupata, “fatta eccezione per quelle situazioni in cui la distruzione si rende assolutamente necessaria per lo svolgimento delle operazioni militari”.
E perché nessuna di queste azioni è stata intrapresa contro l’abitazione della famiglia di Baruch Goldstein, il colono che nel 1994 massacrò 29 musulmani a Hebron? E i sospettati dell’assassinio di quest’estate del giovane palestinese? Perché le loro case sono ancora in piedi?
Quella del governo israeliano è evidentemente una posizione non solo illegale ma anche immorale. I terroristi responsabili degli attacchi sono morti, o in prigione in attesa di essere processati. Distruggendo le case delle loro famiglie, Netanyahu sta facendo il bullo con degli innocenti.
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