Italia ed estero
La sconfitta di Obama e la sua perdita di carisma
Quando Barack Obama entrò per la prima volta alla Casa Bianca godeva di un carisma che aveva affascinato non solo l’America, ma anche – o forse soprattutto – l’Europa.
Quando Barack Obama entrò per la prima volta alla Casa Bianca godeva di un carisma che aveva affascinato non solo l’America, ma anche – o forse soprattutto – l’Europa.
Anche chi nulla sapeva del sistema politico d’oltre oceano, all’improvviso aveva iniziato a fare il tifo per il primo afroamericano alla presidenza.
Da quei giorni di sei anni fa, quando anche a Trento si organizzarono “maratone notturne” per seguire le elezioni negli Usa, sembra trascorso un secolo. Molti di quei fans europei, spinti dal “We can”, sono tornati nell’indifferenza, o a preoccuparsi piuttosto di quanto accade nel Vecchio continente. O sotto casa, magari. Che è sempre la cosa più importante, pare.
A casa sua, Obama si è trovato ad affrontare nemici contro i quali fare bella figura non era affatto semplice. Forse impossibile. Prima la crisi economica, poi l’Isis e il timore per l’epidemia di ebola. Imprevisti che, prima ancora dell’ultima debacle elettorale, hanno minato il carisma del presidente.
“Spesso i presidenti vengono colpevolizzati per circostanze fuori dal loro controllo solo perché sono i politici più potenti di tutti”, ha commentato in un’intervista al Corriere della Sera oggi in edicola lo scrittore Jay Mcinerney. Ed è vero. Eppure non basta a spiegare, ad esempio, quanto accaduto in Arkansas, dove per la prima volta dopo 141 anni nessun democratico sarà eletto al Congresso.
A guardare la cartina degli Stati Uniti il giorno dopo il voto mid-term – e pur con il beneficio del dubbio per la Louisiana, che andrà al ballottaggio il prossimo 6 dicembre – il risultato delle elezioni è stato chiaramente a favore dei Repubblicani. Ben oltre le aspettative dei sondaggi. Così Obama dovrà affrontare gli ultimi due anni di presidenza con la minoranza al Congresso.
In tutto questo, c’è proprio la capacità, tutta politica, della destra di saper far presa sull’elettorato, e d’intaccare così il carisma del presidente. Puntando sul generale senso d’insicurezza degli Americani oggi; il timore ovvero che Obama non stia facendo abbastanza per affrontare le minacce (siano esse economiche, di sicurezza interna o di politica estera). I Repubblicani hanno anche approfittato per modernizzare (e ammordire) un poco la loro rigida politica di conservatori. Ed anche questo ha pagato.
C’è insomma il dato, a dire il vero abbastanza ricorrente, di una sconfitta del presidente americano alle elezioni di mid-term. Quanto potrà influire questo esito, sulle elezioni presidenziali fra due anni? La tentazione di prevedere una vittoria repubblicana anche alla Casa bianca è già forte, ma ancora un azzardo.
Per diversi motivi. Innanzitutto perché nella partita per la presidenza entrano in gioco aspetti molto diversi, rispetto alle elezioni mid-term. Quindi, perché mancano due anni appunto, e, soprattutto oggi, sono tanti. Che ne sarà delle minacce di ebola ed Isis, che indubbiamente hanno influito sul voto dell’altro giorno? Difficile dirlo.
E poi c’è un altro aspetto interessante, suggerito da un articolo ben scritto sul sito dell’Istituto per gli studi di politica internazionale. Ovvero, quella dei Repubblicani potrebbe rivelarsi come una vittoria di Pirro. “La ‘coabitazione’ tra presidente e Parlamento dai colori politici diversi non sarebbe certo una novità a Washington, ma lo scollamento tra le richieste della base radicale (a cui i Congressmen devono la loro elezione) e le necessità di compromesso che questa coabitazione richiede non erano mai stati tanto evidenti quanto oggi”, scrivono.
“Come sottolineato dal Washington Post, a fare le spese di un protratto blocco istituzionale sarebbe proprio il Partito Repubblicano: Obama ha comunque diritto di veto su molte delle proposte di legge in discussione e sulle tematiche di rilevanza internazionale, e i democratici avrebbero quindi vita facile nell’attribuire al GOP (Grand Old Party, soprannome del partito repubblicano, ndr.) le colpe di un biennio di paralisi nel 2016. Oltre al presidente, tra due anni gli americani rinnoveranno di un terzo lo stesso Senato, e questa volta 24 dei 34 seggi in discussione saranno repubblicani".
Insomma, nel 2016 si giocherà un’altra partita, e l’esito sarà ancora una volta messo in discussione.
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