Trento
Il linguaggio e la rappresentazione del ruolo della donna
Qualche giorno fa, la Commissione Pari Opportunità della Provincia di Trento ha organizzato una tavola rotonda, con alcuni giornalisti, sul tema della comunicazione di genere.
Qualche giorno fa, la Commissione Pari Opportunità della Provincia di Trento ha organizzato una tavola rotonda, con alcuni giornalisti, sul tema della comunicazione di genere.
L'argomento è stato affrontato, a più riprese, nel corso degli ultimi decenni e già nel 1987, uno studio, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, aveva messo in evidenza come la figura femminile viene spesso svilita dall'uso di un linguaggio stereotipato che ne dà un'immagine negativa, o quantomeno subalterna rispetto all'uomo.
Nel 1993, l'allora Ministro, Sabino Cassese, nel "Codice di stile delle comunicazioni scritte ad uso delle pubblica amministrazione", affermava che, "in Italiano, il genere grammaticale maschile sia considerato il genere non marcato, cioè valido per entrambi i sessi, può comportare sul piano sociale un forte effetto di esclusione e di rafforzamento di stereotipi. Quando si afferma, come spesso succede, che il femminile di un titolo professionale prestigioso "suona male" non si fa su base linguistica ma per un soggiacente stereotipo e pregiudizio culturale."
Forti richiami a rivedere questa tradizione androcentrica sono arrivati da diversi settori della società, dall'Accademia della Crusca e dalle istituzioni di molti paesi europei.
Le resistenze ad adattare il linguaggio alla nuova realtà sociale sono ancora forti e così, per esempio, donne ormai diventate professioniste acclamate e prestigiose, salite ai posti più alti delle gerarchie politiche e istituzionali, vengono definite con titoli di genere maschile.
Un uso più consapevole della lingua contribuisce a una più adeguata rappresentazione pubblica del ruolo della donna e a una sua effettiva presenza nella società e a realizzare quel salto di qualità nel modo di vedere la donna che anche la politica chiede oggi alla società italiana.
Il linguaggio è uno strumento indispensabile per attuare quel processo di riconoscimento pieno del ruolo della donna nella società moderna. La grammatica è molto condizionata dall'uso reale. Una norma grammaticale perde ogni significato se la comunità dei parlanti cessa di considerarla vincolante o almeno propria dell'uso più prestigioso.
Inoltre, il genere non è soltanto una categoria grammaticale che regola fatti puramente meccanici di concordanza, ma è al contrario una categoria semantica che manifesta entro la lingua un profondo simbolismo.
Spesso l'utilizzo di un linguaggio "politicamente corretto" per quanto riguarda il genere incontra ancora oggi una facile ironia, alimentata dal fatto che molte donne avvertono come limitativa la femminilizzazione coatta del nome professionale, riconoscendosi piuttosto in una funzione è in una condizione in quanto tale, a prescindere dal sesso di chi la esercita.
Solo per esemplificare, rammento quando Irene Pivetti, Presidente della Camera, si firmava "Il Presidente" oppure, quando Stefania Prestigiacomo nella sua qualità di Ministra rifiutava la femminilizzazione del termine e purtroppo gli esempi sono molti e molto attuali.
I sostenitori dell'invarianza e invariabilità della grammatica adducono come giustificazione l'incertezza grammaticale di fronte all'uso di forme femminili nuove rispetto a quelli tradizionali maschili ( ad es. ingegnere che si può, invece, correttamente, dire ingegnera oppure chirurgo, che può tradursi in chirurga ), o la convinzione che la forma maschile possa essere usata tranquillamente anche in riferimento alle donne.
Ma questo non è vero, perché maestra, infermiera, modella, cuoca, nuotatrice…non suscitano alcuna obiezione: anzi! Le resistenze all'uso del genere grammaticale femminile per molti titoli professionali e ruoli istituzionali ricoperti da donne sembrano poggiare sulle ragioni di tipo linguistico, ma in realtà sono di tipo culturale: mentre le ragioni di chi lo sostiene sono apertamente culturali e, al tempo stesso, fondamentalmente linguistiche.
Ma ancora, in italiano e in tutte le lingue che distinguono morfologicamente il genere grammaticale maschile e quello femminile la donna risulta spesso "nascosta" dentro il genere grammaticale maschile che viene usato in riferimento a donne e uomini ( gli spettatori, i cittadini…)
Infine tornando al Convegno stupisce che, da parte di chi si definisce giornalista e direttore di una testata on line, esista ancora tanta ignoranza e tanta supponenza, tanto da arrivare a commentare il tema trattato nella tavola rotonda, confondendo il linguaggio al femminile con la femminilità oppure di vantarsi di aver intervistato una soldatessa arruolata nel "Genio militare" di stanza in Libano e di aver rivolto "a una BELLA ragazza italiana" la seguente domanda:"Noi facciamo servizi fotografici alle candidate a Miss Italia e alle nostre soldatesse che rischiano la vita. Sai dirmi qual è la differenza?" "Non ci sono differenze siamo donne entrambe" Commento del direttore: "risposta fantastica. Da donna appunto."
Mi chiedo si è mai letta un'intervista ad un soldato e nel presentarlo lo si definisce BELLO? Ma ancora, siamo certi che sia positivo veicolare il messaggio che pensare di essere premiate per una dote naturale, qual è appunto la bellezza, valga quanto essere assunte od arruolate per le proprie capacità, per lo studio o per l'impegno?
Margherita Cogo
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