Italia ed estero
Quello che Obama non può dire: quando la speranza lascia spazio al pragmatismo
“L'America si metterà alla guida di una vasta coalizione internazionale” che “darà il via a una campagna senza sosta” contro la minaccia terroristica dello Stato Islamico dell'Iraq e della Siria (Isis).

“L’America si metterà alla guida di una vasta coalizione internazionale” che “darà il via a una campagna senza sosta” contro la minaccia terroristica dello Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (Isis).
Così stanotte il presidente americano Barack Obama ha annunciato il suo piano per fermare la follia dei miliziani islamici, parlando in diretta alla tv nazionale. “Non saranno coinvolte truppe americane”, rassicura il presidente. Ma ciò non influirà sull’obbiettivo finale, e cioè “perseguitare e distruggere l’Isis”.
Si sa, Obama è l’ uomo della speranza. Troppi però sono i dettagli tralasciati dal suo discorso per pretendere che il popolo americano e i suoi alleati possano apprezzare appieno le complessità della sfida irachena. Quella che li attende è una vera e propria missione impossibile.
L’Isis non può essere distrutto e nemmeno sconfitto: questa la tremenda verità omessa da Obama. Ma perché annientare l’Isis è fuori discussione? Un tale risultato richiederebbe necessariamente un’ operazione terrestre in Iraq. E anche in questo caso le probabilità di successo sarebbero a dir poco risicate.
Il presidente americano ha già messo in chiaro la sua posizione: il suo è un no categorico a un’ operazione via terra. Mai e poi mai la sua presidenza verrà ricordata per la seconda occupazione americana in Iraq nel giro di pochi anni.
Sulla scelta di Obama pesa il ricordo delle prodezze del suo predecessore, George W. Bush. Come dimenticare quel disastro di dimensioni epiche? E’ stato proprio Bush a scardinare gli equilibri socio-politici iracheni, creando le condizioni per il caos attuale.
E allora che fare? La strategia del presidente è tanto semplice quanto affidata al caso. Un solo obbiettivo: scatenare una tempesta di bombe sulle roccaforti degli jihadisti e sperare che gli alleati facciano la loro parte, facendosi carico delle operazioni terrestri.
In realtà, la scelta di Obama potrebbe essere interpretata anche come un dignitoso compromesso: se non è possibile distrugge l’Isis, tanto vale tentare almeno di costringerlo a ripiegare sulle sue posizioni.
Sbagliano quindi coloro che sostengono che per sconfiggere l’Isis basta usare la mano pesante. Così come sbagliano coloro che pretendono che gli Stati Uniti assistano inerti di fronte a una minaccia terroristica che rischia di destabilizzare tutto il Medio Oriente.
La soluzione giusta per Obama sta nel mezzo. Combinare l’uso della forza alla diplomazia, ridurre il vantaggio dello Stato Islamico e riconquistare molti dei territori da questo occupati: ecco la terza via del presidente americano.
Il rischio di fallire è comunque molto alto, e anche un potenziale successo sarebbe destinato a lasciare l’amaro in bocca. Il piano di Obama andrà a buon fine solo se gli iracheni e i siriani si assumeranno le loro responsabilità e si impegneranno a fare la loro parte, inviando truppe via terra. Una scommessa a dir poco azzardata per il presidente americano.
I curdi iracheni sono al momento i migliori alleati di Washington. Ma la verità è che sono poco interessati a salvare l’Iraq. Il loro obbiettivo è piuttosto crearsi un proprio stato indipendente sui territori che riusciranno a sottrarre allo Stato Islamico.
L’incertezza regna sovrana anche sull’affidabilità del governo centrale iracheno. Tutto dipende dal nuovo primo ministro, Haider Al-Abadi. Riuscirà questo a riunire le varie anime del paese, dopo che il suo predecessore, Nuri Al-Maliki, ha perseguito per anni una politica settaria, che ha messo all’angolo la popolazione sunnita? Il fatto che lo stesso Al-Maliki sia uno dei tre nuovi vice-presidenti lascia ben poco a sperare. Una cosa però è certa: senza il sostegno della componente sunnita sarà impossibile respingere l’Isis.
Ma è la Siria il vero dilemma degli Stati Uniti. Qui i potenziali alleati sono tre: i cosiddetti “ribelli moderati”, che combattono contro Assad e sono allo stato attuale militarmente deboli; il sanguinario dittatore Bashar Al-Assad; il Fronte Al-Nusra, referente di Al-Qaida in Siria. A Obama l’imbarazzo della scelta. In ogni caso, per respingere l’Isis sarà necessario che uno di questi invii truppe via terra.
Quella di Washington è quindi una strategia dei piccoli passi. Scacciare l’Isis dall’Iraq: questo l’obbiettivo più immediato. Permetterebbe di fermare il genocidio delle minoranze irachene e lascerebbe gli jihadisti senza le preziose risorse petrolifere localizzate in quella zona.
E poi un’ ultima grande speranza: che l’Isis diventi il peggior nemico di sé stesso. In altre parole, che la popolazione sunnita prenda le distanze dai massacri e le barbarie perpetrati dai miliziani dello Stato Islamico, e si rivolti contro questi impostori tagliagole. E’ questo il tassello fondamentale del piano americano: sperare che tutto si risolva da solo.
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