Italia ed estero
Referendum in Scozia: la lunga marcia del «si»
Neanche due settimane al referendum e il destino della Scozia sarà a tutti noto.
Neanche due settimane al referendum e il destino della Scozia sarà a tutti noto.
Un destino che, a dispetto di ogni non lontano pronostico, si annuncia decisamente più incerto del previsto. Insomma, l’unione che lega Scozia e Inghilterra fin dal 1707 sembra realmente in pericolo e il quadro non può che spaventare gli ambienti di Westminster.
Il leader del movimento “Yes Scotland”, Blair Jenkins, non fa che ripeterlo a chiare lettere: “ci basta solo una manciata di punti per vincere il 18 settembre”.
E basta dare uno sguardo agli ultimi sondaggi per capire quanto la distanza tra il fronte dei “no” e quello a favore dell’indipendenza scozzese si stia sempre più assottigliando.
Soltanto nell’ultimo mese, il sostegno al movimento pro-indipendenza è salito di 8 punti, portando i sostenitori del “sì” a parlare di un vero e proprio “momento di svolta” per il futuro del paese.
Il sondaggio “YouGov” per il quotidiano “The Times”, reso noto lunedì, dipinge questa realtà in rapido movimento: il fronte dei “no” resta in testa, ma lo scarto non fa che diminuire: ora non sono che 6 i punti di scarto, contro i 14 della metà di agosto, e i 22 del mese di luglio.
A ciò si aggiunga un’altra realtà emersa dal sondaggio, per molti la sorpresa più evidente: l’aumento del sostegno alla campagna per il “sì” degli elettori laburisti: il 30 per cento contro il 18 di un mese fa.
E allora la domanda sorge spontanea. Come si spiega questa rapida salita “indipendentista”?
Forte è il successo mediatico di Alex Salmond, leader dello Scottish National Party (SNP), storico promotore del progetto di referendum. Importante e di impatto la vittoria al secondo dibattito televisivo contro Alastair Darling, alla guida di Better Together.
Salmond ha dimostrato nel tempo di saper giocare le sue carte migliori, con una strategia ben precisa: la rottura, il nuovo corso, il cambiamento, ma nel solco della continuità, senza dimenticare il legame con la tradizione.
Abilità che consiste nel cogliere ora, al momento giusto, i frutti di un lavoro lungo anni e miranti a dare allo Scottish National Party una nuova mission politica. Un partito storicamente repubblicano, anti-europeo e anti-militarista che si trasforma per diventare una nuova entità capace di attrarre sempre più elettori di sinistra moderata e di centro.
Nella nuova visione dello SNP, infatti, lo stato indipendente scozzese manterrebbe la regina come capo dello stato (come avviene per molti paesi del Commonwealth), chiederebbe di aderire all’Unione europea e aspirerebbe a diventare membro della Nato. Non solo. La Scozia manterrebbe la sterlina, e i cittadini potrebbero avere la doppia cittadinanza.
Infine, un punto importante di continuo riaffermato da Salmond. Votare “sì” all’indipendenza scozzese significherebbe risparmiare la Scozia dalla pesante agenda delle privatizzazioni portata avanti da Westminster.
Ma se davvero il fronte del “sì” dovesse riuscire nell’ardua impresa, quali ripercussioni internazionali e interne dovremmo aspettarci?
Nel resto d’Europa, non lontano potrebbe paventarsi il rischio frammentazione in altre realtà indipendentiste (pensiamo ai paesi baschi), unito all’acuirsi di sentimenti nazionalistici nel resto d’Europa.
Tuttavia, se le ripercussioni internazionali devono essere tenute in debito conto, ciò che spaventa i più sono i possibili esiti di una vittoria separatista a livello politico nazionale: la Scozia resta infatti un importante bacino di voti e di parlamentari laburisti. In assenza di questi, allora, una futura vittoria del Labour al Parlamento britannico si annuncia sempre più difficile.
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