Arte e Cultura
Ospedale riabilitativo Villa Rosa: l’eccellenza
È spesso doveroso e socialmente utile criticare le strutture ospedaliere quando le cose non vanno e purtroppo il nostro Paese dà molte occasioni per farlo.
È spesso doveroso e socialmente utile criticare le strutture ospedaliere quando le cose non vanno e purtroppo il nostro Paese dà molte occasioni per farlo.
Di converso, però, accadono anche esperienze che ti dimostrano che c'è anche l'altro lato della medaglia, quello che alimenta la speranza e dà occasione di fierezza.
È il caso dell'ospedale riabilitativo di Villa Rosa, che ha sede a Pergine Valsugana, a pochi chilometri da Trento, diretto dalla dottoressa Nunzia Mazzini, dotato di 60 posti letti e con l'obiettivo primario di riabilitare garantendo l’applicazione delle più idonee tecniche rieducative e prendendosi cura dei molteplici bisogni sanitari della persona.
E non si tratta, come detto, di un giudizio positivo che proviene dal "sentito dire" o dall'interno della struttura, per cui sarebbe facile parlarne bene, ma che scaturisce dall'aver vissuto sulla mia pelle il modo con cui si è trattati e soprattutto curati: il classico paziente “noto”.
In sintesi, potrei ridurre tutto a questa frase: "Sono entrato in ospedale su una sedia a rotelle, ne sono uscito in piedi". Sì, perché in questo "Centro di Eccellenza" – non ho alcun timore nel definirlo così, perché lo merita – c'è tutto quello che serve per la riabilitazione.
A partire da un macchinario robotizzato che è costato mezzo milione di euro, di nome "Lokomat", prodotto dalla ditta svizzera "Hocoma", il cui fine è curare le persone con lesioni al midollo spinale, programmando trattamenti di recuperi personalizzati, in relazione alle problematiche patite.
Lokomat, in funzione dal luglio scorso, è azionato da due fisioterapisti, molto competenti e professionali (tutti i fisioterapisti sono molto competenti), non solo dal punto di vista "medico" ma anche (e soprattutto) da quello "empatico", perché anche il rapporto umano ha la sua valenza significativa nel processo della cura. Ma non solo.
Perché a Villa Rosa ci sono altri strumenti che permettono di raggiungere gli obiettivi prefissati dalle terapie riabilitative, come la piscina o le elettroterapie per i dolori. La piscina, riscaldata con acqua calda, è divisa in tre compartimenti con altrettanti livelli: 110, 140 e 220 centimetri.
Ognuno di questi permette ai pazienti di potere effettuare tutti i tipi di movimenti e di ginnastica previsti per le differenti patologie. Anche in questo caso è eccellente il sostegno degli assistenti.
Però… non è tutto oro quello che luccica.
Innanzitutto, il numero delle risorse. Di fisioterapisti ce ne sono pochi, mentre sono tanti, purtroppo, i pazienti. È ovvio che ciò va incidere sulla qualità della fisioterapia ma, nonostante ciò, quelli in organico vanno avanti e danno il massimo, riuscendoci.
Ed è altrettanto chiaro che questo problema non è causato da Villa Rosa ma dai noti tagli al personale sanitario. C'è, poi, un'altra questione che al contempo genera rabbia e tristezza: la solitudine dei pazienti. Non tanto perché, come detto, il personale è ridotto ai minimi termini, quanto perché, purtroppo e per fortuna non sempre, manca l’assistenza familiare…
Sì, ho visto con i miei occhi disabili che, a causa dei propri deficit, hanno patito e patiscono tanto pur di potere avvicinare alla bocca il cucchiaio o la forchetta. Potete immaginare quanto sia doloroso assistere a scene in cui c'è gente che non sia letteralmente capace di mangiare in maniera autonoma.
Posso dire senza problemi che gli OSS, Operatori Socio Sanitari, non arrivano dappertutto, non riescono, specialmente durante i pasti, a soddisfare le esigenze di quelle persone che hanno bisogno, ve lo posso garantire.
È vero che una disabilità stravolge la vita di ogni famiglia e che ogni suo elemento deve fare i conti con la vita quotidiana, ma non è umanamente accettabile che un uomo debba essere lasciato solo nei momenti principali della giornata, ovvero quelli della colazione, del pranzo e della cena. Basterebbe organizzarsi, attivare i meccanismi di solidarietà familiare che, in teoria, dovrebbero essere naturali, per non lasciare i propri malati soli a se stessi.
Occorre mettersi una mano sul cuore e fare tutto quello che è possibile per non calpestare la dignità dei propri sfortunati cari. Immagini bellissime quando ho visto familiari darsi il cambio pur di non lasciare solo il proprio caro.
Da un parte, dunque, c'è la colpa cronica di chi ha causato l'esiguo numero di personale anche per strutture all'avanguardia come quelle di Villa Rosa; dall'altra, però, le famiglie devono lavorare di più affinché non si debba più assistere a scene che intaccano la dignità del malato. E a queste mi rivolgo, perché non c'è bestia peggiore di "ascoltare il vento ma non poterlo raccontare a nessuno”.
"Grazie Carolina"
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